Aeroporti sotto la lente

Molto si è scritto e, soprattutto, discusso, negli ultimi tempi con riferimento alle numerose criticità del sistema aeroportuale italiano, alle prese con evidenti difficoltà dal punto di vista economico che producono un chiaro impatto sugli investimenti di natura infrastrutturale, forse l’elemento più visibile per ogni passeggero. In questa sede, appare opportuno chiarire la natura dei problemi di un settore così vitale per la nostra economia e per le nostre dinamiche di globalizzazione, come manager e turisti, nonché provare a suggerire una road map evolutiva rispetto allo status quo. La trattazione, più nel dettaglio, appare meglio esplorabile all’interno di quattro dimensioni d’azione.

1. Numerosità degli aeroporti nel nostro Paese 

È un dato di fatto che l’elevato numero degli aeroporti, soprattutto nell’area del Centro-Nord del Paese, favorisca un’eccessiva frammentazione della domanda di trasportato e non permetta il conseguimento di quella massa critica minima indispensabile per raggiungere condizioni di economicità in ogni contesto infrastrutturale. In apparenza una tale situazione potrebbe essere percepita come più favorevole per un cliente/passeggero: il disporre di connessioni aeree verso numerose destinazioni con partenza a pochi chilometri dalla propria residenza sembra certamente un elemento di comfort. Il rovescio della medaglia, meno noto ai non addetti ai lavori, è che lo sviluppo di quei voli, proprio in virtù degli scarsi volumi consolidati su scalo, è supportato da un’ampia iniezione di fondi – veri e propri sussidi, ma in realtà chiamati contributi di marketing – ai vettori aerei, che li utilizzano per abbattere in misura sostanziale i propri costi operativi. Se a quanto affermato si collega il fatto che gran parte degli aeroporti – e non solo in Italia – sono di proprietà di enti pubblici, si comprende bene come l’onere effettivo per il singolo cittadino/passeggero per quel volo sia ben superiore rispetto alla tariffa pagata per il singolo viaggio e come, nei fatti, quel servizio abbia un costo anche per la collettività che non viaggia in aereo. Quanto detto rischia di essere ancora più visibile nel breve termine, laddove al taglio dei fondi per gli enti locali dovrà contrapporsi un aumento dell’imposizione fiscale per la copertura dei costi: siamo ancora sicuri che l’aeroporto sotto casa sia solo una gran comodità? Un recente studio dell’Associazione delle Aerolinee Europee (Aea), del resto, ha testimoniato come Ryanair sarebbe un vettore in perdita senza la contribuzione economica all’avvio e mantenimento delle sue rotte da parte degli aeroporti europei.

2. Qualità del servizio al passeggero. 
È, in gergo tecnico, ciò che si definisce “passenger experience”, vale a dire l’erogazione di processi eccellenti in aeroporto sul fronte operativo e commerciale. È evidente come la situazione di complessità reddituale, a fronte anche delle problematiche sopra esposte, possa rendere difficile percorsi di eccellenza su questo fronte. Ma c’è dell’altro: fino ad oggi la conduzione gestionale degli scali aeroportuali è stata improntata secondo criteri di natura monopolistica. È chiaro a tutti, invece, che oggi gli aeroporti competono non solo tra di loro (in virtù anche di quella frammentazione di cui sopra), ma anche con altre soluzioni di trasportato, quali le connessioni ferroviarie ad alta velocità in prima istanza. Da qui il cambiamento in atto, tardivo ma pur sempre benvenuto, in alcune realtà nazionali: nuovi percorsi dei flussi passeggeri nello scalo, aumento dei varchi di sicurezza, potenziamento del presidio degli stessi in termini di numerosità dei punti aperti anche non in orari di punta. Del resto, superata il picco della “curva di stress” per il passeggero, il cui apice è raggiunto proprio al momento dei controlli di sicurezza, la percezione di maggior relax e un tempo libero prima dell’imbarco favoriscono la sua propensione alla spesa presso le attività del retailing aeroportuale. Qui vale la pena di evidenziare due aspetti: il primo è che gli esercizi commerciali devono essere tarati sulla tipologia di passeggero in transito nello scalo (business, turista, low cost ecc.) e devono comunque palesare elementi di distintività (assortimento, offerte promozionali, orari di apertura) rispetto all’offerta di negozi in città. Il secondo è l’importanza di una brillante gestione delle attività di airport retailing per il gestore aeroportuale: si tratta della componente a maggiori margini, capace di almeno parzialmente compensare le perdite economiche generate dal supporto alla movimentazione dei vettori aerei, di cui i sussidi di cui parlavamo sono oggi la voce più onerosa, ma non l’unica.

3. Efficienza della gestione
Torniamo ad un tema già evocato nelle precedenti righe. Il concetto di “sistema-campanile”, di cui l’aeroporto è un pilastro di riferimento, nonché la governance pubblica dell’azionariato della società di gestione sono certamente elementi che frenano una gestione eccellente dei processi e dei conti. Aspetti come il sovradimensionamento degli organici e il clientelismo nella selezione delle persone sono problematiche che ancora oggi lasciano il segno in molti scali e a cui, in tempi di crisi, non è certamente facile porre rimedio. La privatizzazione delle società di gestione quale rimedio a tutti i mali? Il concetto non vale in senso assoluto, ma direi che certamente in Italia pone in essere alcuni importanti rimedi.

4. L’esperienza estera
Intanto, mentre nel nostro Paese ci si dilunga da anni nella discussione di piani aeroportuali nazionali, costantemente emendati per accomodare in posizione di maggior favore alcuni scali trascurati ma benvoluti da ambienti politici, nel Regno Unito ci si comporta in maniera differente e onestamente più semplice e chiara. Vengono fissati dei paletti in termini di economicità minima reddituale che la gestione aeroportuale deve produrre; il non raggiungimento di questi fa scattare immediatamente e senza potere di replica delle sanzioni. La prima prevede l’impossibilità a proseguire il servizio verso connessioni internazionali, salvaguardando i soli servizi locali. La seconda impone la chiusura dello scalo. Semplice, vero? Soprattutto, realizzato sul campo, come la recente eliminazione dello scalo di Plymouth evidenzia. Forse è davvero questo il cambiamento che il settore aeroportuale nazionale, come il nostro sistema-Paese, deve compiere: l’adozione, davvero, di una politica liberista che, favorendo la competizione, ne disciplini realmente e in misura chiara e certa le regole del gioco, con meccanismi già predefinti di premiazione e punizione dei comportamenti degli attori. Nel nostro Paese, l’incertezza nella determinazione dei confini d’azione – un esempio su tutti, il tema delle tariffe aeroportuali, su cui si dibatte da anni senza un chiaro risultato finale – frena peraltro l’ingresso di nuovi investitori industriali e finanziari, che potrebbero realmente aiutare a superare la cultura provinciale del “sistema-campanile” di cui dicevamo.

Testo di David Jarach, Mission n. 6, ottobre 2012

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