data room Alitalia

Si apre la data room Alitalia

Sono partite oggi le lettere dei commissari Luigi Gubitosi, Enrico Laghi e Stefano Paleari per la data room Alitalia,  per invitare alla seconda fase della procedura di vendita del vettore italiano, a cui si sono dimostrate interessate 33 realtà, dalle 15 alle 18 società o cordate. Tra le quali vi sono certamente le low cost  Ryanair ed easyJet, ma anche l’attuale socio Etihad e le big Lufthansa, Air France, forse British Airways, e la statunitense Delta, oltre a diverse società di handling e ai fondi, quali Tpg e Cerberus.

Sono 18 le realtà ammesse alla data room Alitalia

Dal Ministro Delrio ai tre commissari (ecco i quattro moschiettieri?) il coro è “vendiamola in toto”, anche se molti dei pretendenti vogliono solo delle parti di essa, tra cui certamente Ryanair. Che comunque sarà ammessa alla data room Alitalia come gli altri, da cui si attende una proposta di acquisto entro il prossimo 21 luglio. Subito dopo dovrebbe esser svelato il nuovo piano industriale, nel quale certamente non vi sarà più il volo da Milano Malpensa ad Abu Dhabi (Leggi qui su Aeroporti Lombardi o su La Prealpina) per poi arrivare alle proposte vincolanti nel prossimo ottobre.

Ma come detto anche dall’esperto Andrea Giuricin nel recente incontro presso l’Istituto Bruno Leoni a cui noi di Mission abbiamo partecipato (leggi: Alitalia, una storia infinita. Se ne parta da IBL)  tutto ciò sembra un “accanimento terapeutico”, e Alitalia è ormai una dead company flying. Visto che come dice Giuricin, il costo pubblico per mantenere operativa la compagnia è stato di 4,485 miliardi di euro, considerando il costo per fornitori e creditori (2,285 miliardi), la Cigs (1,1 miliardi), le minori entrate fiscali (500 milioni) e il prestito ponte di 600 milioni. Il costo dei precedenti salvataggi è stato invece calcolato in 3 miliardi  nel 2008 e in 3,165 miliardi nel quinquennio 2009-2014.

Anche se non tutta la vicenda è chiara come iniziano a sostenere diversi studiosi e giornalisti del settore. Innanzitutto il bilancio d’esercizio del 2016 che gli amministratori uscenti avrebbero dovuto depositare entro la metà dello scorso aprile non si è ancora visto.Anche se qualche numero da altre fonti inizia ad essere svelato, come il 408 milioni di perdita d’esercizio che si leggono sentenza del Tribunale di Civitavecchia, che ha stabilito lo stato d’insolvenza e che è disponibile sul sito dell’amministrazione commissariale e che dovrebbero riguardano l’anno prima, come da bilancio correttamente depositato, a cui però si aggiunge la “situazione patrimoniale aggiornata al 28 febbraio 2017 (…), che riporta un patrimonio netto negativo di 111 milioni, perdite – solo nel periodo 1.1.2017-28.2.2107 – per 205 milioni”. Se il patrimonio netto è divenuto negativo per 111 milioni al 28 febbraio, dopo un bimestre di perdite pari a 205 milioni, questo vuol dire che però era invece positivo per 94 milioni al 31.12.2016. Ma com’è possibile se il patrimonio netto positivo al 31 dicembre 2015 era di 51,9 milioni?

 

 

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