Allacciate le cinture

Mancano pochi minuti al decollo. La hostess, in piedi e in una posizione ben visibile da tutti i passeggeri, indica le uscite di sicurezza e illustra l’utilizzo del giubbotto di salvataggio e della maschera dell’ossigeno. E conclude la dimostrazione invitando i passeggeri a consultare le cosiddette safety card, ovvero i depliant che illustrano i comportamenti da tenere in caso di emergenza. Quella appena descritta è una scena usuale, così come è abbastanza frequente che i passeggeri, nel frattempo, leggano il giornale, chiacchierino con il vicino, sistemino il bagaglio a mano. E non degnino di uno sguardo le safety card.

Card da collezione

Eppure, ci sono ambiti in cui le “carte di sicurezza” riscuotono molto successo: ad esempio, sono contese da migliaia di collezionisti e sono protagoniste di diversi siti Internet gestiti dagli appassionati. Ed è comprensibile, perché i depliant con le informazioni di emergenza hanno una storia lunga quasi quanto l’aviazione civile. E negli ultimi 70 anni hanno cambiato più volte grafica e stile di comunicazione, riflettendo la cultura e il periodo storico in cui venivano prodotte. Un fenomeno al quale, di recente, è stato dedicato addirittura un libro: “Design for impact”, di Elias Modig, edito dalla casa editrice britannica Laurence King Publishing (info:www.designforimpact.com).

Sfogliando il volume, scopriamo che i primi esempi di safety card risalgono agli anni Venti e Trenta, quando i voli aerei cominciano a non essere più appannaggio esclusivo di pochi, spericolati pionieri del volo. In questo periodo, le norme di sicurezza sono praticamente inesistenti e le garanzie di toccare terra sani e salvi sono piuttosto scarse. I depliant riportano istruzioni semplici e scarne, e raramente indicano le uscite di emergenza o consigliano ai passeggeri di seguire attentamente le istruzioni fornite dall’equipaggio.

Nel secondo dopoguerra gli aerei diventano più grandi, veloci e confortevoli e l’esperienza del volo, pur essendo ancora costosa ed esclusiva, è accessibile a fasce più ampie di popolazione. Ma prendere l’aereo fa ancora paura a molti passeggeri. Così le safety card cercano di allentare la tensione, sdrammatizzando le operazioni di emergenza con battute spiritose (“i giubbetti di salvataggio sono eleganti e confezionati su misura”) accompagnate da vignette e disegni comici. In questa fase, i testi che illustrano le procedure di sicurezza sono verbosi e prolissi, le immagini poche e di difficile comprensione.

Per assistere alla comparsa di safety card più simili a quelle attuali, occorrerà attendere gli anni Cinquanta e Sessanta: con l’entrata in servizio dei primi Jet (il Comet Airliner prima, il Boeing 707 in seguito), i depliant informativi diventano più chiari e cominciano a soffermarsi sugli aspetti tecnici. E per dare un’impronta rassicurante e ottimistica alla comunicazione, il funzionamento dei giubbetti di salvataggio è affidato alle immagini di signorine sorridenti e cotonate. Sempre negli anni Sessanta, a bordo vengono introdotti per la prima volta le maschere dell’ossigeno. E numerose compagnie, tra cui l’olandese Klm, aggiungono alle safety card già in adozione un secondo foglio che illustra in maniera esauriente la collocazione e il funzionamento di questi strumenti.

Un’ulteriore evoluzione delle safety card avviene negli anni Settanta, con il decollo dei primi Concorde. Le parti scritte, ormai, sono ridotte all’osso, mentre abbondano immagini sintetiche e di immediata comprensione, realizzate in colori come il rosso, il giallo, l’arancione, in grado di catalizzare l’attenzione e comunicare al primo sguardo il concetto di emergenza. Uno stile che proseguirà anche negli anni successivi, con l’adozione di simboli sempre più minimali e “asettici”.

L’utilità delle procedure di emergenza

Fin qui, l’aspetto “artistico” delle safety card. Ma le procedure di sicurezza sono davvero utili? Il dubbio sorge spontaneo quando si sfoglia qualche statistica relativa ai disastri aerei. Perché, se è vero che volare diventa ogni giorno più sicuro (secondo la Boeing, che produce circa il 70% degli aerei oggi in circolazione, attualmente la media dei disastri aerei è di uno ogni 1,4 miliardi di miglia volate, contro i 140 milioni di miglia di 30 anni fa) e che gli aerei sono meno rischiosi degli altri mezzi di trasporto (in base a una ricerca del National Safety Council, i velivoli commerciali sono addirittura 22 volte più sicuri delle automobili), è anche vero che la percentuale dei sopravvissuti agli incidenti in volo, negli anni, è rimasta sempre piuttosto bassa. Secondo Plane Crashinfo.com, sito Internet americano che contiene in un database tutti gli incidenti aerei avvenuti dal 1930 al 2002, dal 1990 a oggi la percentuale dei sopravvissuti ai disastri dei cieli si è attestata intorno al 35%. Un valore in crescita rispetto al 24% degli anni Trenta e Quaranta, o al 21% degli anni Sessanta, ma pur sempre basso.

Per rispondere a questo interrogativo, diamo un’occhiata ai dati di un ampio studio pubblicato nel 2000 dall’Ntsb (National Transportation Safety Board, ente federale americano che promuove la sicurezza dei trasporti aerei, automobilistici, marittimi e ferroviari), dal titolo “Evacuazione d’emergenza degli aerei commerciali”. L’indagine analizza 46 evacuazioni avvenute dal 1997 al 1999 su aerei con più di 44 posti. In totale, questi episodi hanno coinvolto 2846 persone, tra equipaggio e passeggeri: il 92% degli occupanti è rimasto ferito, il 2% ha riportato ferite gravi e il 6% ferite minori.

Tra i fattori in grado di condizionare pesantemente l’esito di un’evacuazione, la ricerca cita proprio la disattenzione dei passeggeri nei confronti del materiale informativo distribuito dalle compagnie aeree. In particolare, dei 431 passeggeri interpellati dopo gli incidenti in merito alle safety card, ben il 68% ha ammesso di non averle lette. E il 44% ha dichiarato di non aver neppure seguito la dimostrazione dell’assistente di volo. Da segnalare che, tra i comportamenti scorretti in grado di rendere difficoltosa l’evacuazione, spicca il tentativo dei passeggeri di abbandonare il velivolo portando con sé il bagaglio a mano.

Claudio Balzarini, presidente dell’Ibar (Italian Board Airline Representatives, associazione che rappresenta le compagnie aeree in Italia) conferma: «Oltre a essere obbligatorie (un sedile privo dei depliant informativi, infatti, non può essere utilizzato dai passeggeri), le safety card sono anche molto importanti: infatti, sapere dove si trovano le uscite di emergenza, come evacuare ordinatamente un aereo, come utilizzare la maschera dell’ossigeno, in determinate situazioni può salvare la vita».

Migliorare la comunicazione

Ma allora, visto che la maggior parte dei passeggeri non sembra prestare attenzione alle safety card, non sarebbe forse il caso di migliorare la comunicazione? La ricerca dell’Ntsb sottoponeva a un esame accurato 22 safety card di vettori che hanno subito incidenti aerei, cercando di verificarne l’aderenza alle indicazioni della Faa (Federal Aviation Administration) e l’efficacia della comunicazione. Il 60% dei depliant era stampato a colori, con foto o disegni in bianco, nero e rosso. La maggior parte, inoltre, era più grande di una rivista, per attirare l’attenzione dei viaggiatori. Tutte le card contenevano indicazioni di massima sulle cinture di sicurezza, ma solo alcune riportavano informazioni aggiuntive su come mettere la cintura ai bambini o alle donne incinte. In molti casi, infine, la ricerca rilevava una scarsa chiarezza nella spiegazione delle procedure da seguire in caso di incidenti. E lamentava la presenza di indicazioni confuse riguardo alla posizione delle uscite di emergenza. «Ovviamente, esistono sempre dei margini di miglioramento nella comunicazione rivolta ai passeggeri – sostiene Claudio Balzarini. Ma ritengo che nel corso degli anni i vettori abbiano fatto molto per rendere le istruzioni semplici, sintetiche e immediatamente comprensibili. Spetta al passeggero leggere con attenzione il materiale informativo e cercare di acquisire le conoscenze rudimentali – ma indispensabili – relative ai sistemi di emergenza».

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