Aviation outlook: un mercato fragile

Le recenti cronache, relative al dissesto di Wind Jet a seguito del fallimento delle trattative d’integrazione con Alitalia, hanno posto ancora una volta alla luce, in tutta la loro evidenza, le criticità del settore italiano delle aerolinee. Nei fatti, la storia del settore in ambiente post-deregolamentazione, a partire dunque dalla fine degli anni ’80 in poi, è costellata da una sequenza marcata d’ingressi e di violente quanto brusche uscite dall’industria, queste ultime tutte attraverso bancarotta e gravi dissesti finanziari per l’indotto, a partire dal contesto aeroportuale, nonché per i passeggeri/clienti di quei vettori. Basta, del resto, ricordare come la stessa aerolinea nazionale di riferimento, Alitalia, rappresenti l’unico caso in Europa di vettore di grandi dimensioni fallito e, quindi, ricostruito attraverso un processo finanziario-politico che ancora oggi sconta numerose ed evidenti incertezze per il futuro. Se è certamente vero che, a livello mondiale, l’industria delle aerolinee è caratterizzata da bassi margini, legati alla forte sensibilità agli shock endogeni macro e micro ambientali, nonché all’ipercompetizione tra gli attori, quali sono invece le cause specifiche dei problemi che possono essere ascritti all’industria italiana delle compagnie aeree? L’analisi può essere realizzata attraverso quattro dimensioni di analisi.

Scarsa solidità finanziaria
Ciò che caratterizza quasi tutte le compagnie aeree italiane sorte in epoca post-deregulation è in prima istanza la scarsa massa critica d’azione, legata ai limitati investimenti operati dagli azionisti dei vettori, a fronte, invece, di sottostimati quanto significativi oneri per lo start-up e la messa in operazioni del business. In sostanza, molte delle aerolinee italiane hanno agito con una logica “mordi e fuggi”, finalizzata a cogliere opportunità sul tavolo – in primis, lo sviluppo significativo della domanda di trasporto aereo in un Paese, l’Italia, ancora arretrato da questo punto di vista rispetto agli altri mercati europei -, senza predisporre le opportune finestre finanziarie legate all’impatto dei costi del business. Di conseguenza, minimi impatti micro ambientali o, piuttosto, la lunga sequenza di eventi macroambientali – dagli atti terroristici, alle crisi sanitarie, agli shock economici – che hanno caratterizzato il contesto economico, hanno avuto gioco facile nell’estromettere numerosi attori dalle operazioni di mercato. Peraltro, mi permetto di ricordare come gli attuali sopravvissuti tra le aerolinee italiane scontino tutti quanti pesanti situazioni, sia in termini di conto economico che, soprattutto, di esposizione debitoria e di scarsa liquidità; elementi che, in verità, fanno temere per il futuro il rischio dell’esplodere di nuovi casi sulla falsariga di quanto appena vissuto per Wind Jet.

Effetto “squadra di calcio”
In alcuni casi, l’investimento imprenditoriale nel settore delle aerolinee è risultato assimilabile a quello in una squadra di calcio: legato, cioè, alla generazione di consenso politico e istituzionale e alla visibilità mediatica, piuttosto che alla realizzazione di una coerente finestra di sviluppo del business in chiave autonoma. Ciò ha significato il progressivo distacco di alcuni investitori dall’aerolinea nel momento in cui tale necessità politico/istituzionale veniva raggiunta o superata e l’abbandono al suo destino del vettore aereo. A tale condizione, peraltro, non ha potuto fare da contraltare una condotta manageriale proattiva del vettore aereo, dato che, purtroppo, l’industria italiana nel suo complesso sembra avere progressivamente perso – a favore di altri business e di altri sistemi-Paese – un patrimonio di competenze tecnico-specialistiche sorte essenzialmente all’interno di Alitalia, unico reale centro di formazione di competenze specifiche di settore che l’Italia abbia annoverato nel tempo.

Allergia alle integrazioni
Non vi è dubbio che il settore delle aerolinee sia intrinsecamente sostenibile solo in ipotesi di forte oligopolio, con processi di concentrazione tra gli attori esistenti, oggi palese anche a livello globale, al fine di ridurre la sovracapacità d’offerta e, di conseguenza, controbattere la spirale ribassista sul ricavo medio. Tuttavia, e per lungo tempo, i vettori italiani hanno preferito agire su base individualista, cullandosi nella possibilità di operare attraverso approcci di nicchia da e per mercati vocazionali su base locale. Nei fatti, l’assenza di economicità di scala dal lato dei costi operativi e degli investimenti ha progressivamente eroso la componente di reddito di molti attori, rendendo quanto mai illusoria la strategia del “piccolo è bello” condotta da molti vettori italiani. Ad avere compreso per prima questa lezione fu Air Dolomiti, migrata all’inizio del secolo nelle mani di Lufthansa e che, non a caso, risulta oggi il vettore “italiano” più solido. Più recenti e, forse, in questo senso tardivi, i casi delle fusioni Air Italy/Meridiana Fly e Alitalia/Air One, peraltro discusse a partire da posizioni di fragilità e crisi e, dunque, in ottica di mera sopravvivenza, piuttosto che a fronte di una visione strategica a lungo termine atta a riconfigurare il proprio modello di business alla luce delle evidenze settoriali.

Sistema-Paese e invasione dei vettori stranieri
Non vi è dubbio, infine, che la porosità dei confini nazionali e la penetrazione dei vettori low-cost – Ryanair e easyJet in primis – sulle rotte anche domestiche abbia segnato la svolta definitiva per l’entrata in crisi di molti attori, a partire dalla stessa Wind Jet. Si tratta di un punto molto dibattuto: in un mercato liberalizzato, si sostiene, non possono certamente essere previsti elementi di freno al libero agire delle forze di mercato e al ridispiegamento della capacità produttiva verso aree di business di interesse. È tuttavia chiaro come la condotta di molti aeroporti e la corresponsione di forti incentivi commerciali ai vettori low cost abbia de facto falsato, in qualche caso in misura marcato, lo scenario d’azione. In sostanza, le piccole aerolinee italiane poco avevano da offrire, in ottica di capacità di attivazione di voli e di frequenze, rispetto alle major low-cost europee, e ciò ha decretato la loro progressiva marginalizzazione anche dal sistema d’incentivi aeroportuali. In questo caso, è da interrogarsi su come il nostro sistema-Paese, nelle sue varie anime di regolatore operativo e strutturale del settore, abbia omesso totalmente di fornire un ruolo propositivo nella guida verso un ordinato sviluppo del settore delle aerolinee, o per lo meno di una sua tutela – come invece occorso all’estero -, salvo poi lamentare di dovere gestire le situazioni fallimentari e i disservizi al pubblico, quali quelli del caso Wind Jet. Anche in questo caso, forse, è palese la scarsa cultura aeronautica che permea il nostro Paese e che ne segna in misura marcata, in chiave di benchmarking, la relazione con gli altri e più avanzati contesti continentali.

Testo di David Jarach, Mission n. 4, settembre 2012

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