Convention bureau. Una chimera?

Il giornalista di Detroit che nel 1896 ricevette l’incarico di mettersi in viaggio per promuovere la sua città quale sede di convention non immaginava il successo della sua missione. Gli fu affiancata una segretaria e assegnato un ufficio cui venne dato il nome di “Convention bureau”. Negli anni successivi iniziative analoghe si svilupparono in tutti gli Stati Uniti, sconfinando anche nel Canada. Nel 1914 fu creata la Iacvb (International association of convention & visitors bureau, tuttora esistente), nel cui documento di istituzione si legge: «i convention bureau sono organismi non profit che rappresentano una specifica destinazione. Costituiscono una risorsa del territorio, che ha lo scopo di spingere a organizzare eventi in quella destinazione, fornire assistenza durante la loro preparazione, invogliare i partecipanti a godere delle potenzialità storiche, culturali e leisure offerte dalla località».

Da allora il mercato è ovviamente molto cambiato e i convention bureau sono comparsi in molti paesi del mondo. Oggi sono quasi ovunque riconosciuti quali organismi super partes – e senza fini di lucro – per stimolare la domanda e sostenere l’offerta. I Cb devono avanzare in tutte le sedi la candidatura della loro destinazione, realizzando materiale promozionale e informativo dei prodotti e dei servizi congressuali. Devono inoltre effettuare ricerche di mercato sulle aziende più inclini a investire in eventi, creando apposite banche dati, e realizzare database sugli operatori, così da incentivare l’incontro tra clienti e fornitori, senza necessariamente attendere che i primi si facciano vivi. Sono infine a disposizione dei corporate meeting planner che, dovendo scegliere la location per un evento, hanno bisogno di uno o più preventivi con tutte le voci di costo: dall’affito delle sale ai pernottamenti, dal catering agli allestimenti e così via. Spetta appunto ai convention bureau “censire” di volta in volta l’offerta del territorio, e suggerire a chi ne fa richiesta il mix di fornitori più giusto per le sue esigenze di budget e di comunicazione.

I Cb meglio organizzati organizzano viaggi di istruzione (educational tour) per far conoscere il territorio a meeting planner aziendali, incentive house, giornalisti e opinion leader, collaborano con gli altri organismi istituzionali nelle attività di marketing a favore degli operatori locali e portano avanti un’importantissima funzione di verifica e certificazione della qualità complessiva dell’offerta. Alcuni addirittura curano i rapporti con i mass media, elaborando e pianificando campagne pubblicitarie di alberghi, Pco e agenzie di servizi.

I Cb in Italia

In Italia il primo convention bureau è stato quello di Venezia creato nel 1982; successivamente ne nacquero altri che non ebbero fortuna. Da qualche anno però si registra una positiva inversione di tendenza: oggi i Cb italiani hanno raggiunto il primato europeo di 31, ma solo in qualche caso sono riusciti a imporsi come istituzioni di riferimento. Mediamente le aziende italiane tendono a organizzare i propri eventi senza contattare i Cb. E ciò a causa di una lunga serie di problemi e di disfunzioni.

In primo luogo manca sia una legge sia una prassi che leghi il titolo di “convention bureau” ad agenzie effettivamente specializzate nei servizi sopra descritti. Qualsiasi ente, a prescindere dal proprio core business, può attribuirsi il nome di Cb. A Lignano per esempio, in provincia di Udine, Convention bureau è il nome di un centro congressi. Ciò genera confusione e non contribuisce a stimolare la domanda.

In secondo luogo – paradosso tutto italiano – al gran numero dei nostri Cb non corrisponde un’equa ripartizione territoriale. Ben dieci Cb sono concentrati in due regioni (Liguria e Toscana). Questo fa sì che solo poche porzioni di territorio siano ben rappresentate. Su 20 regioni, la metà è priva di Cb. E nelle altre dieci la rappresentanza è mal distribuita. In Lombardia ad esempio solo Milano e Varese hanno un convention bureau e in Piemonte solo Torino. Va da sé che molti meeting planner pensino di agire in proprio, senza cercare nell’area prescelta per l’evento il sostegno di un Cb.

Ma c’è un altro problema, di gran lunga più rilevante, legato alle modalità operative di questi organismi. Concepiti per essere al di sopra delle parti e garantiti da capitale totalmente o prevalentemente pubblico, finiscono in molti casi per raggruppare soltanto – o quasi soltanto – operatori privati e agire nell’esclusivo interesse di questi. I Cb italiani sono in maggioranza consorzi di alberghi, centri congressi, Pco e agenzie di servizi, a volte di ottimo livello ma affatto rappresentativi dell’offerta territoriale, che promuovono solo se stessi. In alcuni casi i soci propongono agli altri operatori del territorio una vetrina promozionale dietro compenso. Beninteso, in assenza di una normativa di riferimento è perfettamente lecito che uno o più privati si consorzino a proprio beneficio e stabiliscano come e se estendere ad altri l’attività promozionale, ma è assai lontano da ciò che un Cb dovrebbe fare.

In Italia sono pochi i convention bureau che veramente agiscono super partes. Uno di essi è quello di Rimini, che conta cinque soci (tra cui – caso unico al mondo – uno Stato sovrano come la Repubblica di San Marino) e che davvero rappresenta la totalità dell’offerta della riviera, “filtrata” attraverso un rigoroso controllo di qualità. L’azione promozionale è gratuita e si estende a tutti gli operatori i cui servizi raggiungano un livello di eccellenza, valutato secondo “griglie” prestabilite. Un altro bell’esempio è il Torino Convention Bureau, del quale le istituzioni locali detengono il 70% delle quote, mentre il restante 30% è stato ceduto, in ragione di una quota a testa, a tutti gli operatori che ne hanno fatto domanda. In tal modo si è creata una public company che agisce nei confronti dell’offerta in modo assolutamente non esclusivo. A seconda dei casi, infatti, il Cb contatta e inserisce nei preventivi per le aziende anche strutture esterne alla compagine associativa. Varese si muove in modo assai simile: il Cb locale, costituito come azienda speciale della Camera di Commercio, è a capitale interamente pubblico e rappresenta tutti gli operatori della provincia che superano controlli di qualità. Segnaliamo infine il Firenze Convention Bureau, che si è dotato di una business unit per acquisire congressi internazionali.

Il resto del panorama non consente di fare molti altri esempi di simile livello. Anzi. Alcuni Cb, oltre che limitare ai soci il proprio lavoro di rappresentanza, si propongono ai corporate meeting planner quali organizzatori di eventi “chiavi in mano”. In tal modo tradiscono la propria mission, divenendo agenzia di servizi a scopo di lucro e generando confusione presso i meeting planner, per i quali diventa persino difficile distinguere un convention bureau da un organizzatore.

A parziale riscatto dei Cb va detto che la colpa non è solo loro. Abbiamo interpellato Pier Paolo Mariotti, meeting manager dell’Eurac Convention Center di Bolzano. «La difficoltà fondamentale è data dalla mancanza di coesione dell’offerta congressuale – ci ha detto –. I Cb dovrebbero in primo luogo potersi imporre quali “registi” dell’industria congressuale del territorio, aggiungendo – dove mancano – elementi della filiera, formando Pco e favorendo la crescita culturale degli operatori. Obiettivo, questo, che presuppone una visione strategica e un supporto istituzionale. Ma spesso ciò non è possibile perché da un lato molti operatori appartengono a pool, club di prodotto o catene internazionali (nel caso degli alberghi) che non lasciano ad alcuno la possibilità di sindacare sulla formazione dei propri addetti, dall’altro la burocrazia delle istituzioni non consente una gestione territoriale snella, e non sostiene quindi l’industria. Inoltre la situazione economica e normativa cambia sensibilmente da regione a regione, rendendo spesso proibitivo il lavoro di un Cb serio. Per farla breve, se le regioni, le province o i comuni non hanno soldi da investire, è chiaro che i convention bureau possono essere solo di natura privata e lucrativa. E, si sa, un privato non potrebbe mai promuovere una destinazione senza il supporto del pubblico. Ecco da dove partono le malfunzioni, i camouflages e quant’altro».

«Inoltre – continua Mariotti – è difficilissimo posizionare le destinazioni sul mercato. Occorrerebbe spirito di complicità e di colleganza tra destinazioni, centri congressi, alberghi e agenzie che in realtà si fanno una concorrenza spietata. Se in una città si sparge la voce che un’azienda cerca una sala congressi da 500 posti, tutti gli alberghi si fanno avanti con un’offerta, desiderosi di acquisire l’evento. Dell’azione preventiva e super partes di un Cb non importa niente a nessuno. Intendiamoci, la concorrenza è elemento vitale dell’economia, ma una promozione ben organizzata prima o poi torna a beneficio di tutti. Lo dimostra – caso eclatante – Vienna, in cui nulla è in mano agli operatori privati e tutta l’azione promozionale e di marketing congressuale passa per il Cb. Che movimenta decine di migliaia di pernottamenti all’anno, in tutti gli alberghi della capitale».

L’Europa è ricca di esempi cui noi Italiani dovremmo ispirarci. Austria, Francia e Gran Bretagna hanno capillari reti di convention bureau. «Ma il capolavoro l’hanno fatto Germania e Spagna, che hanno fondato sui Cb il successo della loro industria congressuale – continua Mariotti –. Hanno creato in ogni regione, se non addirittura in ogni città, un ufficio di promozione super partes che funge da convention bureau locale e viene coordinato dal Cb nazionale, interfaccia con la clientela straniera. Ecco che cosa succede in paesi che interpretano i Cb come devono essere interpretati. Peccato, perché alcuni dei nostri Cb potrebbero davvero raggiungere l’eccellenza internazionale, e dispiace vederli ridotti a uffici vendite di pool di fornitori».

Un Cb nazionale

Questo cenno all’Italia ci offre il destro per concludere parlando della chimera delle chimere, ossia il Convention bureau Italia. Già una volta si provò a crearlo, ma con esiti nulli: nel 1994 fu sottoscritto l’atto di nascita di un “Italia Convention bureau” che non vide mai la luce. Qualcosa comunque si sta muovendo. Nell’ottobre 2004 è nata Federcongressi, federazione di cinque associazioni di categoria, dotata di personalità giuridica e volta essenzialmente ad azioni di lobby presso il potere legislativo. Non è dunque ente promotore, ma gruppo di pressione finalizzato all’ottenimento di normative favorevoli agli operatori e alla formazione dei futuri addetti attraverso corsi in scuole e università. Un ente promotore su scala nazionale si è sviluppato contestualmente a Federcongressi e si chiama “Italia for events”: è organismo interregionale di promozione verso l’estero della nostra industria congressuale ed è sostenuto, oltre che dalle Regioni, dall’Enit e dal ministero delle Attività produttive. Attualmente raggruppa solo 15 regioni, deve perfezionare la propria organizzazione e dare maggior fisionomia alla propria attività, sinora limitata alla realizzazione di opuscoli e alla rappresentanza fieristica. Tuttavia costituisce un deciso passo avanti, tanto che Federcongressi ha avviato un dibattito per la costituzione di un Cb nazionale. «Considerato che ormai tanti soggetti pubblici sono coinvolti nel congressuale – afferma il presidente Federcongressi Adolfo Parodi –, penso che ciascuno potrebbe dare un contributo alla fondazione di un Cb per promuovere con efficacia la nostra industria degli eventi. Ora è presto per dire se, come e quando verrà fondato. È però la prima volta che si registra una positiva intenzione dello Stato e delle regioni in questo senso. Vale la pena di provarci».

Testo di Stefano Ferri, Mission N. 5, giugno-luglio 2006

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