Ricorso Airbnb

Ricorso Airbnb, il Consiglio di Stato dà ragione al portale

Novità sul ricorso Airbnb: il Consiglio di Stato ha dato ragione alla multinazionale statunitense (scopri qui l’offerta di Airbnb) riguardo alla sospensione della cedolare secca del 21% sugli affitti brevi.

Ma ricapitoliamo le “puntate precedenti” di questa complessa vicenda legale: la “manovrina” di Governo della scorsa primavera ha sancito che, a partire dallo scorso giugno, sia possibile applicare agli affitti brevi (cioè quelli di durata non superiore ai 30 giorni, secondo la definizione dell’articolo 4 del DL 50/2017) una cedolare secca del 21%, in sostituzione dell’Irpef.

La norma stabilisce nuovi adempimenti anche per gli intermediari immobiliari (inclusi, quindi i portali di sharing economy come Airbnb), che hanno l’obbligo di inviare all’Agenzia delle Entrate una comunicazione in occasione della stipula di ogni contratto. In caso di mancato adempimento sono previste penali da 200 a duemila euro. Devono inoltre trattenere una ritenuta del 21% sui proventi della locazione e versarla all’erario. Infine, sono tenuti a inviare la certificazione unica al proprietario (art. 4 del Dlgs 322/98). Per i dettagli leggi qui.

A ottobre il Tar del Lazio si era opposto al ricorso Airbnb

Il portale californiano guidato da Brian Chesky però, non ha preso bene il provvedimento, e lo scorso ottobre ha presentato al Tar del Lazio un ricorso, sostenendo che la norma violerebbe alcune leggi comunitarie, in particolare la direttiva 1535 del 2015, che prevede che gli Stati membri informino la Commissione ogni volta che vengono introdotte nuove regole tecniche relative alle società digitali. Il Tar del Lazio, però, ha detto no alla richiesta di sospensione della tassa, esponendo Airbnb al pagamento di una multa ingente per le scadenze non rispettate. Da qui la presentazione del ricorso Airbnb al Consiglio di Stato. Palazzo Spada ha chiesto al Tar un celere riesame del caso. Non ci resta che attendere i prossimi sviluppi.

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