Si fa presto a dire marchio

Nell’era dell’economia su larga scala l’hôtellerie mondiale tende sempre più a costituire dellealleanze globali, che consentono di utilizzare strumenti di promozione e di commercializzazione difficilmente accessibili alla singola impresa, di adottare strategie di marketing comuni, di acquisire maggior visibilità e condividere esperienze e know-how. Non si è sottratta a questo trend neanche larealtà alberghiera italiana, atipica rispetto al resto del mondo perché eccezionalmente frammentata (in Italia vi sono oltre 35mila strutture). In altre parole, anche se l’individualismo ricettivo resta uno dei capisaldi dell’ospitalità made in Italy, l’arrivo dei grandi colossi internazionali e la creazione di alleanze globali ha fatto nascere anche tra gli albergatori italiani la necessità di “fare gruppo”.

L’unione fa la forza

Certo, dal punto di vista degli albergatori riunirsi è una strategia molto vantaggiosa, anche e soprattutto dal punto di vista commerciale, perché permette non soltanto di stringere alleanze con altri attori del comparto turistico, ma anche di dialogare con le diverse realtà aziendali presentandosi come un interlocutore unico, in grado di soddisfare tutte le esigenze del business travel. «Oltre alla possibilità di avvalersi, nella maggior parte dei casi, di una forza vendite organizzata – spiega Paolo Conti, di Carlson Wagonlit Travel, società di consulenza aziendale specializzata in travel management – entrare a far parte di un gruppo alberghiero consente di avere a disposizione strumenti di promozione e vendita decisamente efficaci, come l’inserimento della propria struttura nella directory della catena (distribuita poi attraverso numerosi canali, quali ad esempio le manifestazioni fieristiche di settore), la presenza sul sito web istituzionale, il supporto di un call-center che riceva e smisti le prenotazioni, l’accesso ai gds, negati ai singoli albergatori, e l’utilizzo, infine, di un marchio comune e perciò riconoscibile».

Un labirinto di brand

Ma come impatta questa moltitudine di formule aggregative sulle aziende? E soprattutto, come cambiano i rapporti contrattuali a seconda che l’interlocutore sia un gruppo, un hotel in franchising o un consorzio? A volte il travel manager fatica a districarsi in un panorama alberghiero estremamente complesso, un vero e proprio labirinto di alleanze e marchi in cui, alle tariffe proposte dai grandi gruppi, si sovrappongono quelle delle singole strutture alberghiere. E così, in fase di negoziazione, spesso non riesce a far valere appieno il potere contrattuale della sua azienda. Senza contare la difficoltà di comprendere se, all’interno delle differenti formule aggregative, sia sempre garantito il medesimo standard di servizi oppure vi siano delle differenze di rilievo. In altre parole, affidandosi agli hotel di un consorzio piuttosto che di una catena di proprietà o di un gruppo alberghiero, si otterrà sempre lo stesso tipo di trattamento?

Un primo passo per orientarsi tra le varie forme aggregative è cercare di capire in che cosa consistono, individuandone vantaggi e punti deboli.

Consorzi, associazioni e cooperative

Una prima formula, che ha attecchito molto in Italia proprio in virtù dell’estrema parcellizzazione del settore e, quindi, del desiderio di salvaguardare le caratteristiche individuali, è l’associativismo, che implica semplicemente che strutture alberghiere indipendenti e di proprietà diverse con caratteristiche comuni, stringano un accordo di collaborazione con lo scopo principale di svolgere azioni congiunte di promozione. Dal punto di vista giuridico-legislativo, queste relazioni di cooperazione possono assumere forme differenti in base al ruolo svolto dagli albergatori-soci all’interno del gruppo. Consorzio, associazione e cooperativasono le tre formule più diffuse. Essenzialmente, le associazioni di albergatori, oltre ad avere funzioni di rappresentanza, ricercano gli strumenti più idonei per migliorare il rendimento delle strutture socie, mentre più complicato appare il modello consortile, che prevede lo svolgimento in gruppo di alcune attività specifiche della gestione d’impresa, dalla promozione agli acquisti. Ancora differente è la cooperativa alberghiera, all’interno della quale ogni associato ha potere assembleare e detiene una quota della società. Esemplificando, se The Charming Hotels è un’associazione alla quale sono affiliati alberghi di lusso ospitati spesso in edifici storici,Pregiohotel è invece il classico esempio di consorzio che, oltre ad offrire supporto commerciale ai consorziati, organizza per loro dei veri e propri corsi di formazione, che spaziano dal web marketing alle attività di promozione. Una delle principali cooperative italiane, infine, è Space: «Si tratta di una cooperativa nazionale a responsabilità limitata, inserita in un circuito internazionale che è Supranational – spiega Antonio Nitto, direttore commerciale -. Gli associati non solo hanno a disposizione una rete vendita, ma anche alcuni strumenti di booking, quali un call-center, il sito web e la presenza nei gds, che consentono loro di vendere camere in tutto il mondo senza fare nessuna fatica»

Alberghi di proprietà

Un’altra realtà è quella delle catene alberghiere di proprietà. Si tratta di società che non solo gestiscono le singole strutture, ma ne possiedono anche l’immobile. Spesso sono catene “di famiglia”: i gruppi Boscolo, Roscioli e Bettoja, di proprietà delle famiglie omonime, ne sono un esempio, come pure l’emergente Gabbiano, della famiglia Madonna. Altre volte si tratta di gruppi alberghieri nati dalla necessità di alcune imprese edili di diversificare investimenti e attività, come è avvenuto per Starhotel, fondata dall’ingegner Fabri, e per Una Hotels, di proprietà di Fusi Finanziaria Costruzioni Immobiliari. Ovviamente, l’espansione sul territorio delle catene di proprietà è più lenta, visto che implica l’acquisizione di strutture già esistenti e rispondenti ai canoni distintivi della catena, o la costruzione di nuove strutture; in entrambi i casi, comunque, è necessaria una certa disponibilità di capitali. Di contro, il vantaggio è che non esistono vincoli che impongono un’eccessiva standardizzazione: «Possedere gli immobili consente di intervenire più liberamente sul prodotto – afferma Elisabetta Fabri, vicepresidente e amministratore delegato di Starhotel – e anche i lavori importanti, che richiedono investimenti onerosi, vengono considerati in un’ottica differente da chi, ad esempio ha una struttura solo in gestione»; della stessa opinione anche Bernabò Bocca, presidente di Sina Hotels, altra catena di proprietà, che spiega come «nella personalizzazione dei servizi e delle strutture e nel rifiuto di qualsiasi omologazione» risiedano le carte vincenti di questa formula.

Management contract

Ma cosa succede invece se il proprietario di un immobile è sprovvisto del know-how necessario per mandare avanti un albergo? Semplice! Può affittare lo stabile al titolare di una licenza alberghiera, che si farà carico dei rischi d’impresa e avvierà l’hotel con il proprio marchio. Oppure può stipulare un management contract con uno staff di consulenti esperti, che si impegneranno a mettere a regime l’hotel e a lanciarlo sul mercato, occupandosi anche della manutenzione di impianti e immobile. Non è raro che catene alberghiere di proprietà, forti dell’esperienza acquisita, decidano di prendere anche qualche struttura in gestione, magari in zone strategiche dal punto di vista della penetrazione del marchio, ma dove sarebbe antieconomico acquistare una proprietà.

Hotel in franchising

È invece una scoperta più recente e di chiara matrice americana quella del franchising, che si sta affermando anche in Italia. Il franchisee paga annualmente una royalty e una percentuale sul fatturato e si impegna a rispettare una serie di standard, mentre il franchisor garantisce assistenza, inserimento nei grandi canali commerciali e fornitura di servizi tecnici. «Il franchising è, ovviamente, molto più brand-oriented dei diversi tipi di associazioni volontarie – precisa ancora Paolo Conti. Nell’associazione il brand è una sorta di marchio di qualità, volto a dare valore aggiunto alla struttura più che ad aumentarne la riconoscibilità, mentre nel caso del franchising il marchio, sempre presente sulle insegne, sulla carta da lettera, sulle brochure e su qualsiasi altro tipo di materiale personalizzabile, ha il compito di rafforzare l’immagine di catena. Alla base di entrambe le tipologie aggregative ci sono degli standard da rispettare, ma nel caso delle associazioni sono parametri condivisi in partenza, mentre nel franchising sono imposti». Ovviamente, perché un franchisee venga immediatamente identificato con il modus “ospitandi” che caratterizza il franchisor, i controlli di verifica prima e durante l’affiliazione sono piuttosto severi e avvengono spesso “in blind”, ovvero senza che l’albergatore se ne accorga. «Best Western ad esempio – continua Conti – ha più di cinquanta parametri per valutare l’idoneità di una struttura. Persino la luce del bagno nelle camere può essere più o meno qualificante.

Franchising management

Un’altra tipologia di aggregazione diffusa consiste nell’acquisire strutture alberghiere da gestire direttamente, ma dopo averle riposizionate sul mercato collegandole a brand di prestigio. Si tratta di un processo noto come franchising management e tra i leader europei figura l’italianaAlliance Alberghi, gruppo multibranding appartenente all’immobiliare Westmont Hospitality Group e franchisee dei marchi Crowne Plaza, Holiday Inn, Jolly Hotel e Comfort Hotel.

Le catene miste

A complicare ancor di più il panorama, ci sono poi le cosiddette catene miste, comprendenti cioè strutture acquisite e affiliate con modalità differenti; uno degli esempi più significativi –e più complessi– è sicuramente quello di Jolly Hotels: il gruppo alberghiero, infatti, oltre ad avere sia hotel di proprietà sia in gestione, ha iniziato a commercializzare il proprio brand, diventato ormai riconoscibile a livello internazionale, concedendolo in franchising.

Nonostante le assicurazioni dei franchisor però, gli esperti del settore sollevano un’obiezione, quanto mai lecita, a questa tipologia di catena, chiedendosi se le strutture gestite dai franchisee riescano a mantenere lo stesso livello qualitativo di quelle di proprietà o se non si corra il rischio di un non-allineamento degli standard all’interno dello stesso gruppo.

GLOSSARIO

  • Gruppo alberghiero: è l’unione di più marchi, ai quali corrispondono catene con caratteristiche differenti per rispondere alle esigenze di segmenti di mercato diversi; la differenziazione dell’offerta consente di estendere la presenza del gruppo a più mercati strategici. L’esempio più lampante è la francese Accor, detentrice dei marchi Sofitel, Novotel, Mercure, Ibis e Formule 1.
  • Catena di proprietà: la società o il marchio che gestisce le strutture del gruppo è proprietaria anche degli immobili, “dei muri”. Catene di questo tipo sono spesso quelle nate dalla necessità di alcune imprese edili di diversificare gli investimenti. Due esempi sono Starhotel, fondata dall’ingegner Fabri e Una Hotels, di proprietà di Fusi Finanziaria Costruzioni Immobiliari. Ma questa categoria comprende anche catene alberghiere “familiari” ovvero formate da immobili di proprietà di una singola famiglia, non necessariamente proveniente dal mondo dell’edilizia. Boscolo, Roscioli e Bettoja ne sono un esempio.
  • Catene miste: si tratta di realtà alberghiere che non si caratterizzano per un’unica linea di acquisizione/affiliazione delle strutture, ma che possono avere al proprio interno strutture di proprietà, altre in gestione e, nei casi in cui il marchio sia forte, addirittura alcune in franchising. Jolly Hotels, ad esempio, appone il proprio marchio a strutture di tutte e tre le tipologie.Franchising: questa licenza contrattuale consente di gestire l’impresa alberghiera in proprio, avvalendosi però dell’esperienza di una struttura consolidata e appoggiandosi, per la commercializzazione, a un marchio noto. Il franchisor si impegna a garantire un determinato livello di assistenza, ma al franchisee è richiesto, oltre al pagamento delle royalties per l’utilizzo del marchio, la conformità a una serie di standard, a volte piuttosto rigidi, a discapito dell’individualità della struttura. Tutti i grandi colossi internazionali commercializzano il proprio marchio, da Sheraton a Hilton, a Best Western.
  • Franchising management: accanto a società che cedono il proprio marchio ad albergatori indipendenti, ce ne sono altre che, pur gestendo direttamente gli alberghi di loro proprietà, preferiscono apporre alle strutture un marchio in franchising, garantendo così il miglior posizionamento sul mercato e allargando di conseguenza il ventaglio delle proprie proposte. Alliance Alberghi, ad esempio, utilizza brand diversi per collocare commercialmente i propri hotel (Crowne Plaza, Holiday Inn, Jolly Hotel e Comfort Hotel).
  • Management contract: si tratta di un contratto di gestione mediante il quale il proprietario dell’immobile ne affida la direzione a uno staff di esperti che si occuperà di far diventare redditizia l’impresa usando tutti gli strumenti di marketing a disposizione. La società che prende in gestione l’impresa alberghiera, utilizza, nella maggior parte dei casi, il proprio marchio. Tra gli alberghi a brand Jolly, ad esempio, alcuni sono di proprietà mentre altri sono in gestione. Il vantaggio di questa formula sta nel non dover impegnare ingenti somme nell’acquisto di un immobile.
  • Consorzio: le strutture affiliate presentano caratteristiche simili e svolgono in comune alcune attività specifiche della gestione d’impresa. Il consorzio Pregiohotel, ad esempio, fornisce ai consorziati supporto commerciale e promozionale, ma anche corsi di formazione specifici.
  • Associazione: gli hotel che aderiscono a un’associazione si prefiggono una comune gestione dei servizi commerciali e di prenotazione senza necessariamente avere un marchio alberghiero comune che li identifichi. Ne sono un esempio The Charming Hotels, che affilia strutture di lusso in edifici storici, diverse tra loro per contesto, ma accomunate da una strategia commerciale e da un target comune, e Srs Worldhotels, che riunisce hotel cittadini con un minimo di 70 camere situati in posizioni strategiche.Cooperativa alberghiera: si tratta di un gruppo volontario di imprenditori alberghieri indipendenti che offre supporto nella promozione e commercializzazione dei servizi dei propri associati, ognuno dei quali detiene una quota della cooperativa e ha potere assembleare. Un esempio tipico è Space Hotels, cooperativa fondata nel 1974, il cui consiglio d’amministrazione è formato dagli albergatori stessi.
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