Tecniche di sopravvvivenza

Venticinque. È il numero delle compagnie aeree mondiali che, secondo Iata, International Air Transport Association, nel primo semestre di quest’anno sono state sospese dal “settlement system”, il sistema di pagamento della biglietteria aerea, per bancarotta o cessata attività. Un evento allarmante, soprattutto se si pensa che nei mesi successivi all’11 settembre 2001, uno dei periodi più neri nella storia dell’aviazione civile, i vettori costretti a chiudere i battenti furono solamente otto (tra gli altri Swissair, la belga Sabena e Ansett Australia). A detta dell’associazione l’elenco, che  include compagnie grandi e piccole di ogni parte del mondo, dall’africana Cameroon Airlines, all’americana Frontier Airlines, alla britannica Silverjet, è destinato ad allungarsi nei prossimi mesi. Ma qual è la causa di questa “debacle”? Lo scorso anno, dopo un lungo periodo di crisi, le compagnie aeree avevano finalmente riportato i bilanci in attivo, registrando utili complessivi per circa 5,6 miliardi di dollari. Questi risultati, però, sono stati spazzati via dal vertiginoso aumento del prezzo del jet fuel, che quest’anno ha toccato la cifra da capogiro di 140 dollari al barile.

Secondo gli analisti, i vettori più in difficoltà sono quelli a stelle e strisce. L’agenzia internazionale di valutazione del credito Fitch Rating, ad esempio, ritiene che lo spettro della bancarotta si agiti ormai su tutte le principali compagnie americane, complice il rincaro del carburante e una rapida perdita di liquidità. Tra i vettori per i quali si prevede un 2009 a rischio fallimento spiccano United Airlines, Delta, Us Airways, Southwest, Jet Blue, mentre appare stabile soltanto la situazione di Continental e American Airlines.  Queste fosche previsioni sono confermate dai risultati del secondo trimestre 2008: Us Airways ha registrato perdite per ben 567 milioni di dollari, Continental è in calo di tre milioni,  American Airlines è passata da un utile di 312 milioni di dollari nel secondo trimestre dello scorso anno a una perdita di 1,45 miliardi, mentre  Delta perde addirittura 1 miliardo di dollari. Per resistere alla crisi i vettori cercano di abbattere i costi tagliando le rotte, i servizi e il personale: la già citata Jet Blue, ad esempio, ha deciso di ridurre la propria capacità del 9% nel quarto trimestre, soprattutto su alcune tratte in California. Lo scorso giugno, inoltre, American Airlines e la sua compagnia regionale partner, American Eagles, hanno cancellato i voli in otto scali, per un totale di 62 collegamenti. Di recente, poi, l’autorevole quotidiano americano Herald Tribune ha rivelato che per riuscire a sostenere i continui aumenti del jet fuel i vettori Usa avrebbero messo a terra più di 400 aerei.
Negli ultimi mesi, però, il mercato sembra aver individuato anche un’altra strada per superare l’empasse: la concentrazione attraverso la stipula di merger, ma anche di proficue partnership commerciali e di marketing.

 

L’esempio più eclatante di questa tendenza è la fusione, lo scorso aprile, tra Delta Airlines e Northwest, due vettori che poco più di un anno fa, grazie a un’attenta strategia di riduzione dei costi, sono usciti dal Capitolo 11, la legge americana di protezione dal fallimento. Dall’operazione, del valore di 17,7 miliardi di dollari, è nato un autentico colosso dell’aviazione Usa, che sotto il marchio Delta opererà circa il 25% del traffico aereo statunitense e offrirà collegamenti  con l’Europa, il Giappone, l’Africa, l’India e il Medio Oriente. In totale, la compagnia e i propri  partner regionali raggiungeranno oltre 390 destinazioni in 67 paesi. Delta e Northwest, inoltre, genereranno profitti congiunti per oltre 35 miliardi di dollari, opereranno con una flotta di circa 800 aeromobili e daranno lavoro a circa 75mila persone. In una nota ufficiale le due compagnie hanno dichiarato: «In un’industria dove i vettori americani, dal 2001 a oggi, hanno tagliato più di 150mila posti di lavoro e perso oltre 29 miliardi di dollari, la fusione tra Delta e Northwest darà vita a una compagnia con un business model più elastico e maggiormente in grado di fronteggiare l’aumento del jet fuel. La fusione tra Delta e Northwest è la maniera più efficiente per compensare gli alti costi del carburante e migliorare l’efficienza».

Molti esperti del settore, però, non condividono questo ottimismo: ad esempio Kevin Mitchell, chairman dell’associazione Business Travel Coalition, in un intervento sul numero di giugno del magazine americano Business Travel News ha dichiarato: «Il merger tra Delta e Northwest non funziona. Anche concedendo il beneficio del dubbio sul fatto che le due compagnie riescano entro il 2012 a ricavare l’annunciato miliardo di dollari annuo in sinergie, diversi analisti ritengono che il 75% di questa cifra servirà per stipulare un nuovo contratto con i piloti. Nelle casse rimarranno, dunque, solo 250 milioni di dollari, mentre si prevede che il costo del carburante per i due vettori ammonterà quest’anno a 12 miliardi. Come è possibile dunque che una cifra di 250 milioni aiuti davvero il nuovo gruppo ad affrontare i rincari del jet fuel, visto oltretutto che i costi previsti per la loro integrazione ammontano a 1 miliardo? La verità è che questo merger è stato pianificato quando il prezzo del carburante era più basso. L’idea che rappresenti la necessaria risposta a un prezzo del jet fuel che oggi supera i 130 dollari al barile è semplicemente assurda».
Ciononostante, Delta e Northwest non sono le uniche due compagnie ad aver puntato sulla fusione: per lungo tempo anche United Airlines ha cercato un possibile partner, passando da Us Airways a Continental Airlines. Accantonato il progetto di un possibile merger, United e Continental hanno finalmente ripiegato su un esteso piano di collaborazione globale, incentrato sul coordinamento dei network, sulla creazione di nuove opportunità di revenue e sulla messa in atto di sinergie per ridurre i costi. A tale scopo Continental ha anche annunciato il proprio ingresso in Star Alliance, l’alleanza di cui United è membro storico. Rientrano nel programma, attualmente ancora al vaglio del Dot (il Dipartimento dei trasporti americano), la condivisione delle lounge, dei programmi fedeltà, dei sistemi informativi e degli approvvigionamenti. Sul fronte delle rotte si prevede un ampio piano di code-sharing sul mercato domestico, con la gestione in tandem di prenotazioni, check-in, trasferimento dei bagagli.

Novità anche sul mercato europeo
Questo genere di operazioni, però, non riguarda solo il mercato statunitense: sulla scia della fusione tra Air France e Klm, nel 2004,  oggi anche le altre compagnie europee guardano sempre più spesso ai merger come strategia per migliorare la competitività. British Airways, ad esempio, è al centro di una delle più clamorose notizie degli ultimi mesi: quella della possibile fusione con lacompagnia spagnola Iberia. Dall’accordo, attualmente ancora in fase di discussione, nascerebbe uno dei principali gruppi europei, quotato alla borsa di Londra e di Madrid, all’interno del quale le due compagnie continuerebbero a operare in autonomia. «I bilanci combinati, le sinergie e il coordinamento dei network rendono i merger una strategia particolarmente attraente, soprattutto nell’attuale contesto economico – ha dichiarato Willie Walsh, chief executive di British Airways -. Collaboriamo con successo con Iberia da circa dieci anni e siamo fiduciosi che l’accordo tra i nostri due vettori porterà notevoli benefici». Ricordiamo, infatti, che nel 1999 British Airways acquistò il 9% delle azioni di Iberia e che di recente ha aumentato tale partecipazione al 13,5%. Già lo scorso anno, inoltre, aveva cercato di acquisire la compagnia iberica al prezzo di 3,4 miliardi in collaborazione con il fondo di investimento Tpg, ma l’accordo non era andato in porto. Dal canto suo, nel maggio 2008 Iberia ha investito in quote azionarie di British Airways per creare una simmetria con gli interessi del vettore. L’investimento, che ammonta a circa il 9,99% delle quote di BA tra azioni (2,99%)  e strumenti derivati (6,99%), per il momento non subirà ulteriori incrementi.

Sempre in tema di acquisizioni, segnaliamo anche che nei mesi scorsi British Airways ha acquistato la compagnia privata francese L’Avion al prezzo di 54 milioni di sterline (circa 68 milioni di euro). L’Avion opera dallo scalo di Parigi Orly con due Boeing 757 che effettuano collegamenti trisettimanali con l’aeroporto di New York Newark: confluirà dunque in OpenSkies, neonata sussidiaria di BA specializzata nei voli transatlantici.

Le fusioni riguardano anche i vettori a basso costo. Sembra ormai cosa fatta, ad esempio, ilmerger tra Vueling e Clickair (vettore partecipato da Iberia): le due compagnie daranno vita a una nuova società con base a Madrid e marchio Vueling, che opererà con una flotta di 45 aeromobili (tutti Airbus A320) su un network di oltre 50 rotte. Complessivamente i due vettori trasporteranno circa 10,7 milioni di passeggeri all’anno. Le quote azionarie saranno così suddivise: 45% a Iberia, 14% alla società Inversiones Hemisferios, 4% alla società Nefinsa e 37%  di flottante.

Nei mesi scorsi, a ribadire l’importanza delle partnership per affrontare le attuali difficoltà del mercato, Clickair aveva siglato un accordo di cross-selling con il low cost tedesco Germanwings: i due vettori si erano impegnati a vendere le reciproche tratte sui propri siti Internet, Clickair.com e Germanwing.com.
Nulla di fatto, invece, per la fusione tra la compagnia Condor, controllata della società Thomas Cook, eAir Berlin. Dopo mesi di trattative i due vettori hanno deciso di mandare a monte l’accordo perché non più vantaggioso a causa del mutato panorama economico, in particolare dell’aumento del prezzo del cherosene. Entrambe hanno però annunciato di essere pronte a vagliare altri merger e partnership. Rumors, in particolare, segnalano che Thomas Cook starebbe valutando l’opportunità di creare un’alleanza con TUIFly e Germanwings per la creazione di un’unica, grande compagnia  low cost.

Ma i merger scontentano i passeggeri
Quando danno l’annuncio di un nuovo merger, le compagnie aeree sottolineano sempre che da tali accordi deriverà un miglioramento dei servizi, a tutto vantaggio della clientela. Ma è davvero così? Sembrerebbe proprio di no, almeno secondo le indagini effettuate presso i consumatori: secondol’ultimo report dell’Acsi (American Customer Satisfaction Index), relativo al primo trimestre 2008, il grado di soddisfazione dei passeggeri nei confronti delle compagnie aeree è il più basso registrato dal 2001 a causa del continuo aumento delle tariffe, dell’incremento nel numero dei voli in overbooking e delle onerose fee imposte sull’imbarco di bagaglio extra. Tra i vettori maggiormente sotto accusa spiccano Continental Airlines e Us Airways, i cui indici di soddisfazione sono calati rispettivamente del 10% (62 punti) e del 12% (54 punti). L’indagine sottolinea come tre dei vettori in fondo alla classifica siano coinvolti in operazioni di merger o partnership commerciali: United Airlines, che di recente ha siglato un accordo strategico con Continental, raggiunge quota 56 punti, mentre Northwest e Delta registrano rispettivamente 57 e 60 punti (pari a -7 e +2%). «Unire tra loro due realtà negative non ne crea una positiva – ha dichiarato Cales Fornell, responsabile dell’indagine -. L’umore dei passeggeri è nero e probabilmente non migliorerà, visto che i vettori continuano ad aumentare le tariffe e a ridurre i servizi». Tra i vettori che se la cavano meglio compare American Airlines, che incrementa il proprio grado di soddisfazione di 3 punti percentuali. Da segnalare inoltre l’ottimo risultato di Southwest, che totalizza 79 punti (+4%), confermando un trend positivo che la contraddistingue ormai da 15 anni.

 

Testo di Elisabetta Tornatore, Mission n. 6, settembre 2008

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