intervista artusi federauto

Speciale Dealer auto & Flotte: intervista a Massimo Artusi, presidente Federauto

Massimo Artusi, della Romana Diesel Spa, la più grande concessionaria d’Europa dei Gruppi Iveco e CNH Industrial, componente del Board dell’associazione dei dealer europei AECDR (Alliance of European Car Dealers and Repairers) è l’attuale presidente della Federazione Italiana Concessionari Auto, Federauto, attiva dal 1945. Anche a lui, sottoponiamo i temi caldi del momento per il mercato dei veicoli ed il settore, in Italia, in particolare verso il mondo delle flotte, B2B.

Quanto pesa oggi il business delle flotte e secondo quale trend, con che aspetti più rilevanti per i fleet manager?

«È sotto gli occhi di tutti come il noleggio stia guadagnando una quota sempre più significativa nel business delle concessionarie, perché una fetta del mercato che una volta andava direttamente sull’acquisto si è spostata, appunto, sul noleggio. Ma questo è solo l’aspetto epidermico e palese di un fenomeno di cui tutti conoscono le motivazioni, le dimensioni, le caratteristiche e le prospettive di durata. Alcuni acquirenti preferiscono rivolgersi al noleggio anziché all’acquisto e ad altri modi per procurarsi un autoveicolo, come il leasing e – non dimentichiamolo – il mercato dell’usato, ma queste motivazioni sono sempre suscettibili a cambiare, in una fase così confusa come quella che sta segnando la transizione green, i cui modi – voluti e imposti dall’Unione europea con l’obbligo della trazione elettrica – stanno sconcertando e confondendo il cliente, inducendolo a scelte transitorie e momentanee.

Quanto alla seconda parte della domanda, sostanzialmente non c’è differenza tra il fleet manager e il cliente individuale: con entrambi, la trattativa è anche sui servizi collegarti all’acquisto, ma alla fine quel che prevale è il complesso dell’offerta».

Come sta andando l’anno e come impattano i cambiamenti fiscali su fringe benefit, bollo, incentivi?

«Le ultime decisioni del governo sulla tassazione dell’auto, in particolare quelle sui fringe benefit, stanno impattando in maniera importante, perché si aggiungono a un contesto fiscale già penalizzante di per sé per il settore. Sono anni che chiediamo una riforma della fiscalità sull’auto che sia più equa e meglio allineata alla tassazione degli altri paesi europei. Se si pensa che su una vettura da 30 mila euro la deducibilità in Germania è totale, mentre in Italia è sotto i 17 mila euro, si capisce quel che voglio dire. Ma in questa fase d’incertezza, nella quale – perdendo quota l’acquisto privato – sono proprio le flotte a tenere a galla il mercato (insieme – non dimentichiamolo – alle auto-immatricolazioni), colpire i fringe benefit è stato ancor più penalizzante, perché ha frenato ulteriormente le vendite alle aziende. Ci auguriamo che la misura venga corretta già con la prossima legge finanziaria. Quanto agli incentivi, non ha senso deciderli poi rinviarli e alla fine sottoporli a una sequela di paletti e di condizioni che costringono l’acquirente a uno slalom tra la burocrazia e finiscono per scoraggiarlo dall’acquisto. Meglio, allora – ripeto – una riforma fiscale seria e coerente, da avviare fin da subito, sapendo che si tratta di un’impresa lunga e complessa, ma anche che se non si comincia, non la si farà mai».

Sul fronte della transizione elettrica come stanno rispondendo i clienti?

«Il segmento B2B è in linea col resto del mercato. C’è perplessità, c’è sfiducia, c’è incertezza sul futuro. La scelta dell’elettrico non convince per i costi elevati, i dubbi sull’autonomia, la scarsità di infrastrutture di ricarica, l’elevata obsolescenza, solo per citarne alcuni. In più, per il B2B c’è il tema dei valori residui che impatta molto di più che non sull’acquisto dei privati. Un’azienda deve mettere in bilancio gli ammortamenti del proprio parco, non può nasconderli sotto il tappeto. E la svalutazione dell’auto elettrica o ibrida è comunque più veloce e più consistente di quella delle vetture con motorizzazioni tradizionali, anche se i valori cambiano da mercato a mercato. Infine, c’è l’incognita della quota di auto elettriche che la Commissione europea vorrebbe imporre alle flotte già dal 2030 e sulla quale Federauto ha espresso tutta la sua contrarietà, anche in sede AECDR. La misura è stata solo ipotizzata, non se ne conoscono i particolari, ma già spaventa, perché la scadenza è assai prossima; per cui non è da escludere che le aziende che devono rinnovare il proprio parco, anticiperanno gli acquisti per utilizzare al massimo la possibilità di dotarsi di veicoli ICE di ultima generazione e dunque a basso impatto ambientale».

Come state vivendo l’avvento dei nuovi brand cinesi?

«È sicuramente un’opportunità. E, serve evidenziarlo, non legata alla trazione elettrica. Sta circolando lo spot televisivo di un marchio cinese che – in controtendenza rispetto a quel che si pensa e cioè: auto cinese uguale auto elettrica – propone un’auto a benzina, puntando su un costo contenuto. Segno che c’è una domanda da intercettare anche per questo tipo di prodotto. E se il mercato ce lo chiede noi siamo pronti ad accontentarlo. Ho sempre detto che le nostre critiche ad un’elettrificazione imposta dalla Commissione europea, non sono ideologiche, ma sono costruite su indicazioni raccolte dal mercato e che il concessionario per questo è il miglior osservatore indipendente. Tanto più è il miglior venditore indipendente, perché raccoglie la domanda del mercato. La nostra mission è quella di vendere autoveicoli, non di leggere il loro marchio».

Il noleggio in concessionaria è davvero un’opportunità?

«Ci sono i pro e i contro. Da una parte è un’opportunità interessante, perché consente di diversificare e aumentare il numero e la qualità dei servizi forniti dalla concessionaria, dall’altra c’è il rischio che il cliente utilizzi il servizio di noleggio, ma poi si rivolga a soggetti esterni per ottenere gli altri servizi normalmente legati all’acquisto del veicolo. Sono convinto, però, che i concessionari italiani – che hanno dimostrato in questi anni di essere degli ottimi imprenditori, cogliendo tutte le opportunità che si sono trovati davanti – siano tranquillamente in grado di presentarsi in termini competitivi anche al cliente che noleggia, anziché acquistare il veicolo, e di fidelizzarlo a una concessionaria che si presenta solida e garantita in tutta la sua offerta di servizi. Su questa è necessario un confronto chiaro e vincente per tutti tra noleggiatori e concessionari».

Tra software CRM, Customer Journey online e AI, come vi state attrezzando sul fronte della digitalizzazione?

«Le concessionarie italiane sono sempre state all’avanguardia nei sistemi digitali e continueranno ad esserlo grazie ai loro investimenti e alle iniziative di formazione del personale che sono la chiave di volta per accompagnare il cliente nel processo di digitalizzazione delle vetture. Non sopravvalutiamo, però, l’intelligenza artificiale, che non può sostituirsi a quella umana, ma può soltanto offrirle un supporto. Formazione del personale significa anche questo: mantenere alto il valore delle relazioni tra le persone che sono e resteranno la vera forza del concessionario, perché è su di esse che si basa il rapporto con il cliente».

Come è vissuto il passaggio del dealer al nuovo schema di agenzia?

«Bene, direi. C’è stata una fase nella quale alcuni costruttori hanno tentato di interpretare la direttiva dell’Unione europea sugli accordi verticali per provare a trasformare i propri concessionari (che sono figure imprenditoriali) in agenti (che non hanno carattere imprenditoriale). Ma alla prova dei fatti, il tentativo non ha dato i risultati attesi da coloro che avevano intrapreso questa strada. Tanto più che nella crisi che stanno vivendo in primo luogo i costruttori in questa fase complicata per l’automotive, la natura imprenditoriale del concessionario si sta rivelando determinante per mantenere in piedi la filiera, grazie anche alle auto-immatricolazioni. Che un agente non potrebbe, né avrebbe interesse a fare».

Che previsioni fate per la chiusura del 2025?

«Molto dipende dalle decisioni che prenderanno l’Unione europea e il governo italiano. La prima sciogliendo finalmente il nodo del mix energetico che libererebbe il mercato dai dubbi sull’auto elettrica, il secondo abbandonando una politica di incentivi incerta e confusa, fatta di annunci la cui attesa blocca gli acquisti e di normative che ne complicano le procedure. Ma sarà difficile che le risposte possano essere – come invece dovrebbero – rapide ed efficaci. Per cui avremo, molto probabilmente, un altro anno sulle montagne russe, un mercato con picchi e cadute, ma con un risultato finale che sarà più o meno in linea con quello di quest’anno».

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