In un’epoca di transizione ecologica e dove le flotte e il business travel sono ai vertici, della mobilità, la mobilità integrata promette a partire proprio dalle aziende un sistema fluido: treni, bus, metro, bike-sharing e car-sharing collegati da app uniche, biglietti multimodali e orari sincronizzati.
Se ne parla sempre ma, anche alla ultima GBTA Europe Conference molti professionisti del Travel hanno riconosciuto i limiti, rispetto alla teoria. Certo, modelli come quello di Zurigo o Amsterdam funzionano , riducendo traffico ed emissioni locali. Ma in Italia? Non esattamente. Perché la teoria si scontra con una realtà frammentata.
Il primo ostacolo è proprio la frammentazione istituzionale. Con molte regioni, migliaia di comuni e aziende trasporti, come Trenitalia, Italo, ATAC, ATM e decine di gestori locali. Manca un coordinamento nazionale per molti dettagli.
Il “Piano Nazionale della Mobilità Integrata” del PNRR esiste ma ovviamente ha inerzie e stenta: fondi da 26 miliardi, ma ritardi burocratici e appalti lenti.
Risultato? Ancora oggi, non ovunque ma quasi sempre, servono biglietti diversi per ogni mezzo – un abbonamento Trenitalia non vale per la metro di Milano o Roma.
Poi ci sono le infrastrutture obsolete. Reti ferroviarie con ritardi cronici (oltre il 20% dei treni in ritardo, dati RFI 2024), bus elettrici promessi ma non arrivati, e stazioni bike-sharing isolate da fermate principali.
A Milano ci sono alcuni esempi di successo, per la mobilità parzialmente integrata, ma non a Roma, e poi, ovunque: il rischio di scioperi nei trasporti, molto frequenti: se ne contano oltre 100 nell’ultimo anno e, come noto, peggiorano la teoria della mobilità integrata facile.
La digitalizzazione zoppica. App come “Muoviti Roma” o “Yes Milano” coprono solo porzioni territoriali, senza API condivise per percorsi multimodali in tempo reale. Google Maps suggerisce soluzioni, ma i dati italiani sono incompleti. Mancano incentivi fiscali per abbonamenti integrati, mentre in Germania il Deutschlandticket costa 49€ al mese per tutto.
Infine, la cultura automobilistica. Gli italiani amano l’auto privata (70% degli spostamenti urbani, ISTAT), scoraggiati da servizi inaffidabili. Politiche green come bonus EV slittano, e il last-mile resta un problema: dal treno alla bici, manca il collegamento.
Soluzioni? Un’agenzia nazionale unica, come la SVV svizzera, con obbligo di interoperabilità digitale entro 2026. Investire in open data e premiare i pendolari multimodali. Altrimenti, la mobilità integrata resterà un miraggio.
L’Italia ha il potenziale: porti, alta velocità, turismo. Basta volontà politica per farla decollare.













