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Auto e norme UE: l’industria spinge sui biocarburanti, ma la domanda rischia di diventare insostenibile

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La partita sui biocarburanti è tutt’altro che chiusa. Negli ultimi mesi, mentre l’Europa tenta di mantenere la rotta verso l’auto a zero emissioni entro il 2035, le lobby petrolifere e automobilistiche hanno intensificato la pressione affinché Bruxelles apra la porta, anche dopo quella data, ai motori endotermici alimentati con biofuels.

Una proposta che, sulla carta, suona come una via pragmatica alla transizione; nei fatti, rischia di trasformarsi in un vicolo cieco fatto di domanda insostenibile, dipendenza dall’estero e impatti ambientali spesso ignorati. A lanciare l’allarme è Transport & Environment (T&E), l’organizzazione europea specializzata nella decarbonizzazione dei trasporti.

Biocarburanti: soluzione o illusione?

Secondo la nuova analisi di T&E, se i biofuels venissero riconosciuti come alternativa energetica “pulita” per il settore auto, la loro domanda al 2050 sarebbe tra le due e le nove volte superiore rispetto a ciò che può essere prodotto in modo sostenibile.

Il punto è semplice: non ce ne saranno mai abbastanza. E quelli disponibili dovrebbero essere prioritariamente destinati ai settori davvero difficili da decarbonizzare — aviazione e trasporto marittimo — che non dispongono ancora di alternative mature come l’elettrico.

L’esempio paradossale (ma efficace)

Per alimentare un’auto solo a biofuel per un anno sarebbe necessario:

• macellare circa 120 maiali, oppure

• raccogliere gli oli esausti derivanti dalla frittura di 25 kg di patatine al giorno.

Il messaggio è chiaro: l’albero degli oli esausti non esiste.

L’offensiva dell’industria: tra legittime preoccupazioni e pressioni discutibili

In una lettera indirizzata alla Commissione, le principali associazioni dell’automotive tedesco (VDA), dei fornitori (CLEPA) e 28 soggetti della filiera dei carburanti hanno chiesto che le auto alimentate con biofuels vengano considerate “a zero emissioni” anche dopo il 2035.

A difesa dell’industria, va detto:

• il timore di perdere occupazione e competitività nella transizione è reale;

• i biocarburanti rappresentano un’opzione tecnologica esistente e immediatamente utilizzabile, almeno in parte della flotta circolante.

Ma la domanda fondamentale resta: questa flessibilità serve davvero alla transizione, o rischia di rallentarla?

Dipendenza dalle importazioni

Oggi circa il 60% dei biocarburanti usati in Europa proviene da Paesi terzi.

Per l’Italia la quota è oltre il 90%, con importazioni massicce da Indonesia e Malesia — due tra i principali produttori di olio di palma.

Paradossalmente, mentre Bruxelles cerca di ridurre la dipendenza da gas e petrolio stranieri, la spinta ai biocarburanti potrebbe cambiarci dipendenza, non eliminarla.

E non è solo un tema geopolitico: è anche un problema di trasparenza e controlli.

Il nodo (serio) delle frodi

Gli oli esausti e i sottoprodotti utilizzati per produrre biofuels avanzati sono un mercato appetibile, in rapida crescita e… non sempre limpido.

T&E ha documentato casi di:

oli esausti dichiarati in arrivo dalla Malesia in quantità tre volte superiori a quelle realisticamente producibili;

• esportazioni di POME dall’Indonesia superiori al potenziale globale stimato, tanto da far scattare un’indagine interna del governo indonesiano.

La domanda cresce più della capacità di controllo. E quando un feedstock diventa “oro verde”, il rischio di manipolazioni è tutt’altro che remoto.

Qualità dell’aria: l’altro lato della medaglia

Molti promotori dei biofuels puntano sulla riduzione della CO₂. Ma sul fronte degli inquinanti atmosferici di prossimità (NOx, particolato, composti tossici) la combustione nei motori resta praticamente identica a quella dei carburanti fossili.

Per un Paese come l’Italia — già destinatario di tre procedure di infrazione UE per la qualità dell’aria — aumentare la combustione nei motori potrebbe essere una mossa difficile da giustificare.

Un dibattito che l’Europa non può evitare

Il tema non è bianco o nero. I biocarburanti, soprattutto quelli avanzati, hanno un ruolo nella transizione, ma un ruolo specifico:

• aviation e shipping, settori hard-to-abate;

• utilizzi mirati dove l’elettrificazione è impossibile o non conveniente.

Inserirli massicciamente nelle auto rischia invece di:

• drogare il mercato del riciclo degli oli esausti,

• aumentare le frodi,

• sottrarre risorse ai settori che ne hanno realmente bisogno,

• rallentare la corsa all’elettrico.

La vera domanda politica è: vogliamo una transizione efficace o una transizione comoda per qualcuno?

Servono scelte coraggiose, non scorciatoie

L’Europa dovrà decidere se ascoltare le pressioni industriali o seguire le evidenze scientifiche.

Il rischio, altrimenti, è ripetere gli errori del passato: inseguire “soluzioni ponte” che non portano da nessuna parte, o peggio, ci mantengono legati a vecchie catene — solo più verdi nella vernice.

La transizione non è un esercizio di equilibrismo politico: o la si fa con coerenza, o non la si fa affatto.

Consulta il report di T&E Biofuels in cars: A dead end for Europe | T&E

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