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Settore Auto in panne: dazi, elettrico a rallentatore e corsa all’usato

L’industria automobilistica globale arranca. Dopo oltre un decennio di crescita, il settore si ritrova oggi bloccato in una corsia d’emergenza, stretto tra dazi internazionali, stagnazione della domanda e una transizione elettrica che non decolla. È il quadro tracciato dallo studio “Navigare nella nebbia” di ANIASA e Bain & Company, presentato oggi a Milano. E mai titolo fu più azzeccato: l’industria dell’auto sembra davvero immersa in una coltre d’incertezza.

La (de)crescita dell’auto

Dal 2001 al 2017 il settore automotive ha vissuto un’espansione continua (+3,3% di crescita annua). Ma dal 2019, la musica è cambiata: prima la pandemia, poi la carenza di semiconduttori e oggi le catene logistiche ancora fragili hanno ridotto la produzione su scala globale. Le previsioni al 2030 parlano chiaro: il tasso di crescita atteso è un modesto +0,2%, un brusco rallentamento per un comparto che per anni è stato locomotiva industriale globale.

USA, dazi e protezionismo: la nuova guerra commerciale è sull’auto

Per rendere l’America “great again” Trump ha scelto il protezionismo, nel tentativo di debellare i mercati nemici, arricchendo le proprie tasche a stelle e strisce.

Per questo gli Stati Uniti – oggi primo importatore al mondo con oltre 5 milioni di veicoli annui (23% del fabbisogno interno) – impongono dazi aggressivi che, dopo anni di delocalizzazione, puntano a riportare la produzione in patria. A pagarne il prezzo sono soprattutto le case tedesche, giapponesi e coreane.
Toyota, Hyundai e Kia, che dominano le vendite americane, sono nel mirino, mentre i costruttori cinesi – grandi assenti dal mercato USA – restano praticamente intatti. Anche l’Europa ne esce indebolita, priva di una strategia industriale coordinata e con una domanda in ritirata (-0,6% atteso).

Elettrico al palo: buoni propositi, poche auto

L’elettrico non decolla. Mentre le normative europee spingono verso l’elettrificazione a tutti i costi, i numeri reali raccontano una storia diversa.

In Italia, le auto BEV si fermano al 5% del mercato, con una penetrazione reale sotto il 3% nel Mezzogiorno. Troppo costose, poco incentivanti e ancora ostacolate da un’infrastruttura di ricarica a macchia di leopardo.

Anche in Europa la situazione è simile: la diffusione delle BEV è stagnante da oltre tre anni, mentre l’ibrido – più accessibile – traina le vendite. La CO₂ media delle nuove immatricolazioni resta sopra i 115 g/km, peggio che nel 2015: la transizione ecologica è ancora lontana.

Il ritorno dell’usato e il paradosso ESG

Di fronte a prezzi inaccessibili, l’usato torna protagonista. Non è uno di quegli amori che fa giri immensi e poi ritorna, per gli italiani si tratta di sopravvivenza. Il potere d’acquisto della popolazione è infatti sempre più ridotto e i costi legati all’acquisto di nuovi veicoli sempre più elevati.

Il risultato? Un parco auto sempre più vecchio, inefficiente e inquinante, che mette a rischio gli obiettivi ESG di sostenibilità ambientale. La normativa spinge verso l’elettrificazione, ma la realtà economica dei cittadini li spinge in direzione opposta.

Il boom del noleggio

In questo contesto, cresce il noleggio, in particolare a lungo termine. Per famiglie e aziende, è spesso l’unica alternativa sostenibile per accedere a veicoli aggiornati.

Oltre il 50% delle auto ibride oggi circolanti in Italia arriva da formule di noleggio, segno che il possesso sta diventando un lusso. Tuttavia, anche questa soluzione non basta a colmare il divario ecologico: l’innovazione rimane circoscritta a una fascia ristretta della popolazione.

Crisi dell’auto: un concorso di cause

“La combinazione tra vincoli normativi rigidi, domanda stagnante e geopolitica instabile – ha dichiarato Gianluca Di Loreto, Partner Bain & Company – impone un cambio di paradigma. Non si può più contare sulla crescita automatica. Serve una strategia industriale nuova, capace di ridefinire filiere, geografie produttive e modelli di consumo.”

Il rischio? Un’Europa marginalizzata, schiacciata tra un’America protezionista e una Cina dominante, senza una visione comune, senza un piano di lungo periodo, senza più il controllo del proprio volante industriale.

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