L’aviazione civile degli Stati Uniti torna a respirare. O almeno così sembra. Tra i tantissimi effetti collaterali provocati dall’ormai famigerato shutdown del governo federale degli U.S.A., uno di quelli che si è avvertito maggiormente è stato infatti quello relativo al trasporto aereo.
La mancata approvazione da parte del Senato americano della legge di finanziamento per l’anno fiscale 2026, frutto di un duro scontro politico tra Democratici e Repubblicani su spese pubbliche e sussidi sanitari, ha infatti costretto moltissime agenzie governative a sospendere le proprie attività, mandando centinaia di migliaia di dipendenti pubblici in congedo forzato o a lavorare senza stipendio. Lo shutdown di quest’anno, che si protrae dallo scorso 1° ottobre, è diventato, con i suoi 40 giorni, il più lungo della storia americana, superando il precedente record del 2018-2019 (35 giorni).
L’assenza di un compromesso entro la scadenza del bilancio ha fatto scattare automaticamente la chiusura parziale del governo. E, a livello di aviazione civile, agenzie federali come la Federal Aviation Administration (FAA) e la Transportation Security Administration (TSA) hanno dovuto operare in condizioni di emergenza.
Voli ridotti, ritardi e controlli rallentati: gli effetti dello shutdown sull’aviazione
Uno dei settori statunitensi in cui gli effetti dello shutdown si sono fatti maggiormente sentire è quello del trasporto aereo. La FAA, a corto di personale e risorse, ha deciso di ridurre del 10% il traffico aereo nei 40 principali aeroporti del Paese, per garantire la sicurezza nonostante la carenza di controllori. Molti di questi lavoratori, considerati “essenziali”, sono stati costretti a lavorare senza stipendio per settimane, con inevitabili ripercussioni su turni, stress e assenteismo.
Anche la TSA, che gestisce i controlli di sicurezza negli aeroporti, ha subito pesanti conseguenze. Migliaia di agenti hanno disertato il lavoro, causando code chilometriche ai varchi e ritardi a catena. Oltre a questo, l’agenzia americana ha sospeso tutte le attività non essenziali, come le certificazioni di nuovi aeromobili e la formazione dei piloti, bloccando di fatto anche parte dell’industria aeronautica.
Il risultato di tutto questo? Oltre 10.000 voli in ritardo e più di 2.000 cancellazioni al giorno nelle settimane centrali della crisi. A essere colpiti maggiormente sono stati gli aeroporti più importanti del Paese, come Atlanta, Chicago, New York e Los Angeles, compagnie costrette a riprogrammare rotte e orari, con impatti pesanti su turismo, business travel e catena logistica.
L’accordo con il Senato: respiro temporaneo, ma non la fine dei problemi
Dopo settimane di paralisi, il Senato ha approvato nelle scorse ore un accordo temporaneo per rifinanziare il governo fino al 30 gennaio 2026. L’intesa è arrivata grazie a un compromesso tra alcuni senatori Democratici moderati e la maggioranza Repubblicana, che ha consentito di sbloccare i fondi e di garantire il pagamento arretrato dei dipendenti federali.
Con la riapertura del governo, l’FAA e la TSA possono tornare a pieno regime, riprendendo turni regolari, manutenzioni, addestramenti e certificazioni. Questo dovrebbe progressivamente alleggerire la pressione sul traffico aereo, permettendo un graduale ritorno alla normalità nei prossimi giorni.
Tuttavia, le incognite restano. L’accordo è solo temporaneo: se entro fine gennaio non si troverà una quadra per un bilancio definitivo, il rischio di un nuovo shutdown rimane concreto. Inoltre, il sistema aereo americano deve ora smaltire giorni di ritardi, voli riposizionati e personale stremato. Una lunga serie di problemi che, di certo, non si risolverà da un giorno all’altro.














