Le Maison, autentiche culle dell’identità dei grandi brand di lusso, racchiudono in sé una vocazione innata all’ospitalità, fatta di accoglienza, cultura e cura del dettaglio. Ma se mi chiedessero cos’è il lusso, non saprei darne una definizione univoca. La desiderabilità di un prodotto o servizio è talmente soggettiva da sfuggire a ogni catalogazione.
Ognuno concepisce la propria idea di lusso in base alle proprie possibilità: per alcuni può essere una cena in un ristorante più esclusivo del solito, per altri una settimana in un hotel a cinque stelle.
Certo è che, attorno a questo universo fatto di retail, hotellerie, ristoranti, spiagge brandizzate e lifestyle d’élite, aleggia un’aspettativa costante. Un fascino intramontabile che però, spesso, si scontra con una realtà inaccessibile.
Il rischio? Che la comunicazione valoriale dei brand, rivolta a un pubblico globale, diventi uno specchio per le allodole: promette un sogno, ma non sempre lo rende tangibile. Così, molti rincorrono un’esperienza che resta lontana, senza averne mai avuto un assaggio reale.
La democratizzazione del lusso
A rispondere a questa distanza percepita sono oggi le contaminazioni, le collaborazioni tra moda, design e ospitalità, che provano a rendere più accessibile — seppure in modo selettivo — quell’universo un tempo blindato.
Margot Canfeure, Managing Director dell’agenzia L’amour Extrême, ha introdotto il tema scavando nelle radici del concetto di ospitalità nel lusso:
“L’ospitalità è sempre stata nel DNA del lusso. Un tempo riservata a pochi, oggi — grazie alla diversificazione — si aprono spiragli anche alle nuove generazioni. È un modo per avvicinare più persone alla cultura del lusso, senza snaturarla.”
Un processo che si può leggere come una vera e propria democratizzazione del lusso: rendere esperienze e luoghi tangibili, senza per questo perdere esclusività, ma aprendosi a nuove forme di accesso e di racconto.
Maison Ferragamo e l’ospitalità di Portrait
Anche Cristina Fogliatto, Vicepresidente Branding Communication di Lungarno Collection e Portrait, ha sottolineato quanto l’identità e la cultura di marca siano fondamentali in questo percorso, citando l’esempio della famiglia Ferragamo:
“L’ospitalità e l’italianità sono parte integrante della nostra storia. Ma a differenza di altri brand, Portrait non si limita a replicare uno stile in ogni ambito: ha una sua anima. Il legame con la moda si riflette soprattutto in un’accoglienza sobria ma attenta, misurata ma autentica.”
Il fil rouge che unisce questi ecosistemi, fatti di attività diverse ma complementari, è la coerenza valoriale.
Nell’ospitalità, forse più che nella moda, si ha un controllo più profondo sull’esperienza: si entra nella sfera privata, si accompagna il cliente nei suoi momenti più autentici. Un imprinting potente, che si imprime attraverso il servizio prima ancora che attraverso l’estetica.
Con la caduta delle barriere tra marketing esperienziale e marketing di prodotto, oggi si ragiona per sistemi integrati. Il co-branding diventa uno strumento per valorizzare le peculiarità di ogni realtà, creando esperienze sfaccettate e coerenti.
Glion fa scuola nell’ospitalità
Il cliente del lusso vuole sentirsi coccolato, sempre. Soprattutto quando il costo è elevato, ogni errore diventa inaccettabile.
Eleonora Cattaneo, direttrice del Master in Luxury Management di Glion, ha posto l’attenzione su ciò che distingue l’esperienza di lusso da un normale acquisto: “Ecco perché le soft skills sono fondamentali: empatia, attenzione, capacità di problem solving.”
Nel master, alle lezioni teoriche si affianca una forte componente pratica, che permette agli studenti di sperimentare sul campo — nel retail e nell’hospitality — i meccanismi profondi dell’esperienza di lusso.
Comprendere la psicologia del cliente, gestire situazioni critiche, sviluppare resilienza e intuito: queste sono le competenze richieste in un settore che oggi soffre una carenza globale di oltre 300.000 professionisti.
E c’è spazio. Spazio per i giovani che vogliono mettersi in gioco, portando energia e visione in un mondo in continua trasformazione.
Come si comunica il lusso nell’ospitalità
Lo conferma ancora Cristina Fogliatto, sottolineando l’importanza dell’eventistica come strumento di comunicazione diretta con il pubblico. Portrait Milano, grazie alla sua piazza interna, si trasforma in un palcoscenico aperto, capace di ospitare eventi culturali e iniziative che vanno oltre il ritorno economico immediato.
Un purpose filantropico e culturale, che rafforza la brand awareness e crea un legame profondo con il territorio e le persone.
A completare il quadro, i social media: strumenti potenti, soprattutto nell’hotellerie, dove lo storytelling spontaneo dei clienti può generare desiderabilità autentica.
Mostrare gli spazi, raccontare momenti, coltivare immaginari. È così che si costruisce il sogno.
Per Margot Canfeure, la ricetta di una comunicazione di lusso efficace è chiara:
“Emozione, legacy e savoir-faire. Ma sempre con genuinità, anche in un mondo pieno di sovrastrutture.”