I numeri parlano

Definire il valore del mercato del business travel in Italia è impresa ardua. Pochi i dati a disposizione, per di più frammentari e disomogenei. L’abbiamo visto già lo scorso anno quando Mission ha cominciato a “dare i numeri” (cfr. Mission, n.1 – gennaio/febbraio 2005). Scartata l’ipotesi di sommare il giro d’affari legato al bt gestito dalle agenzie di viaggio, a causa della numerosità delle agenzie nel nostro Paese (oltre 9mila) e della ancora limitata concentrazione del settore – dall’ultima inchiesta di Mission (n. 2 – marzo 2006) emerge un progressivo consolidamento ma i sei principali player controllano attualmente circa un terzo del mercato -, le strade percorribili sono due: partire dalle aziende presenti in Italia, e quindi dalla domanda, oppure dai fornitori di servizi di viaggio, ossia dall’offerta. Su entrambi i fronti vi proponiamo gli ultimi dati disponibili per arrivare a formulare un’ipotesi che – senza pretese di assolutezza – trovi ragionevoli riscontri nella realtà.

Le aziende in Italia

I dati più aggiornati sulla numerosità e struttura delle aziende provengono da InfoCamere, la società di informatica delle Camere di Commercio italiane, che monitora periodicamente le variazioni intervenute nel Registro delle Imprese. Alla data del 31 dicembre 2005, le imprese registrate superavano i 6 milioni 73mila: il loro numero appare quindi in crescita di circa 97mila unità (+1,62%) rispetto ai dati della nostra precedente inchiesta, relativi al 30 settembre 2004. Qualcosa si sta muovendo anche a livello di forma giuridica: la struttura più utilizzata è sempre quella dell’impresa individuale con oltre 3 milioni 504mila realtà (pari al 57,7% del totale), ma questa tipologia di imprese appare in lieve contrazione (nel settembre 2004 rappresentava il 58,3%). Molto numerose anche le società di persone (soprattutto in nome collettivo e in accomandita semplice), pari a oltre 1 milione 248mila (stabili al 20,6% rispetto alla precedente rilevazione), mentre le società di capitale sono salite a oltre 1 milione 123mila (rappresentano il 18,5% del totale contro il precedente 17,8%). A tale incremento ha contribuito in modo rilevante l’introduzione delle nuove formule “a socio unico”, che hanno registrato una vera e propria impennata (+33,6% le srl e + 21,2% le spa con unico socio). Tra le società di capitale sono largamente prevalenti le srl (oltre 988mila cui vanno sommate le quasi 75mila “a socio unico”), seguite dalle spa (pari a 54.852, oltre a 5487 con unico socio), mentre risulta ormai in disuso il modello della società in accomandita per azioni (in tutto 172). Sono infine circa 196mila (3,2%) le imprese con altre forme giuridiche, tra cui le società cooperative, i consorzi e le società consortili, le aziende controllate dallo Stato, dalle Regioni e dagli altri enti locali, i soggetti esteri.

Per quanto riguarda la loro distribuzione geografica (cfr. tabella 1), la regione che vanta il maggior numero di iniziative imprenditoriali è la Lombardia con oltre 953mila imprese (pari al 15,7% del totale), di cui ben il 27,9% è costituito da società di capitale. In seconda posizione il Lazio con quasi 554mila imprese (9,1%) – qui l’incidenza delle società di capitale è ancora superiore, il 31,1% -, seguito da vicino dalla Campania con circa 543mila (8,9%) e dal Veneto con 511mila (8,4%).

L’occupazione

Se vogliamo invece andare ad analizzare le imprese per numero di addetti, i dati di InfoCamere non sono sufficientemente esaurienti poiché in sede di Registro delle Imprese una percentuale molto alta di società (41,5%) non dichiara il numero di persone occupate. Più complete risultano a questo scopo le informazioni fornite dall’Istat (Istituto nazionale di statistica) tramite l’Archivio statistico delle imprese attive – denominato Asia – che registra i dati provenienti da indagini statistiche e da diverse fonti (ministero Economia e Finanze, Camere di Commercio, Istituto previdenza sociale, utenze telefoniche, Banca d’Italia, Isvap ecc.). Purtroppo però gli ultimi dati pubblicati a luglio 2005 fanno riferimento al 2003. In quell’anno le imprese attive – ossia quelle che hanno svolto un’attività produttiva per almeno sei mesi – ammontavano a oltre 4 milioni 235mila e occupavano complessivamente più di 16 milioni 290mila addetti (circa 10 milioni 820mila lavoratori dipendenti e oltre 5 milioni 470mila indipendenti). Non deve sorprendere che il numero di aziende sia considerevolmente più basso rispetto al dato di InfoCamere, perché attualmente restano escluse dal campo d’osservazione di Asia alcune attività economiche, tra cui quelle legate ad agricoltura, caccia e pesca, la pubblica amministrazione e tutto il no profit.

Ma il quadro d’insieme non cambia. La prevalenza della micro e piccola impresa è netta: quasi 4 milioni 20mila aziende, pari al 94,9% del totale, hanno meno di 10 addetti (di queste oltre 2 milioni 470mila impiega una sola risorsa), circa 191mila società occupano da 10 a 49 persone, 21mila si avvalgono di un numero di lavoratori compresi tra 50 e 249, mentre soltanto 3372 realtà (corrispondenti allo 0,08% del totale) impiegano più di 250 persone, assorbendo però il 20% dell’occupazione totale (cfr. tabella 2). Rispetto ai dati relativi all’anno precedente si nota una crescita complessiva degli addetti (+431mila, pari al 2,7%) e un allargamento, seppur lieve, delle classi dimensionali centrali (tra 10 e 49 e tra 50 e 249 addetti) a scapito di quella più bassa (fino a 9 addetti).

Per quanto riguarda poi il tipo di attività, il settore terziario prevale su quello dell’industria sia in termini di personale (oltre 9 milioni 663mila, pari al 59,3% del totale) sia di numero di imprese (oltre 3 milioni 146mila, corrispondenti al 74,3%).

Distretti industriali e gruppi di imprese

Se estrema è la frammentazione del tessuto produttivo italiano, non mancano però legami di varia natura tra le diverse società. Basta pensare al concetto di distretto industriale – in cui le aziende, pur restando autonome, appartengono per lo più allo stesso settore e si integrano reciprocamente, specializzandosi in prodotti, parti di prodotto o fasi del processo di produzione tipico dell’area -: gli ultimi dati pubblicati nel dicembre 2005 e relativi al Censimento 2001 evidenziano in Italia la presenza di 156 distretti che assorbono complessivamente circa 5 milioni di addetti.

Diverso è il caso dei gruppi di imprese, in cui esiste un effettivo controllo esercitato, in via diretta o indiretta, da alcune società su altre. Ma qual è il numero dei gruppi di imprese? E quale la loro struttura? La risposta viene ancora una volta dall’Istat che – attraverso elaborazioni sulle società di capitale presenti nell’Archivio statistico delle imprese attive – ha recentemente pubblicato (marzo 2006) un interessante studio su questo fenomeno. Ebbene i gruppi di imprese in Italia (i dati si riferiscono al 2003) sono quasi 60mila: comprendono più di 138mila aziende e occupano oltre 5,1 milioni di addetti. Rispetto al numero di imprese registrate in Asia (vedi sopra), dunque, i gruppi coinvolgono il 3,2% delle aziende attive e circa un terzo degli occupati; ma l’incidenza sale al 20% se calcolata rispetto alle sole società di capitale presenti nell’Archivio statistico, con un peso sull’occupazione del 57%. Nel nostro Paese i gruppi di imprese presentano una marcata polarizzazione tra poche strutture di grande dimensione e rilevante peso economico e, viceversa, molte realtà di piccola e piccolissima dimensione (cfr. tabella 3): il 63,45% dei gruppi, infatti, si concentra nella classe dimensionale più piccola (fino a 19 addetti), coinvolge il 46,9% delle imprese appartenenti a gruppi ma pesa solo il 4,67% sul totale degli occupati. Le due classi dimensionali maggiori (tra 500 e 4999 addetti e oltre 5000 addetti) invece – pur comprendendo rispettivamente solo il 2 e lo 0,1% dei gruppi e il 9 e il 4,4% delle imprese indagate – occupano complessivamente oltre 3,1 milioni di addetti (circa il 62% del personale totale appartenente ai gruppi).

Le imprese a controllo estero

L’Istat ci fornisce utili informazioni – seppure un po’ datate – anche sulle imprese dell’industria e dei servizi con sede in Italia ma soggette a controllo estero. Secondo gli ultimi dati pubblicati nel luglio 2005, nel 2002 tali aziende risultavano circa 11mila 900: rappresentavano quindi meno dello 0,3% del totale delle imprese ma “pesavano” sul tessuto produttivo ben di più. Occupavano infatti il 6,6% degli addetti complessivi (oltre un milione di unità), producevano il 14,6% del fatturato (333 miliardi di euro) e creavano l’11% del valore aggiunto (63 miliardi di euro). A questa tipologia di soggetti, inoltre, faceva riferimento l’11,4% degli investimenti (12,1 miliardi di euro) e addirittura il 27,7% della spesa in ricerca e sviluppo (circa 2 miliardi di euro). In termini di settore di attività, il 69% (poco meno di 8200 unità) si concentrava nei servizi, mentre il rimanente 31% apparteneva all’industria – soprattutto alle attività manifatturiere, che impiegavano oltre il 51% degli addetti (quasi 525mila) -. Per quanto riguarda infine la nazionalità del soggetto controllante, 2047 multinazionali presenti in Italia (il 17,2%) avevano la loro casa madre negli Stati Uniti, il 16,5% – pari a 1966 realtà – in Germania e il 14,2% (1689 società) in Francia. Seguivano Lussemburgo, Svizzera, Regno Unito, Paesi Bassi, Belgio, Austria e Giappone.

Calcoliamo il valore del mercato

Se questo è lo scenario delle imprese in Italia, quante sono in questo mondo complesso e variegato le persone che viaggiano? Pur consapevoli delle differenze esistenti tra impresa e impresa e delle difficoltà di generalizzazione, abbiamo provato a formulare delle ipotesi di lavoro. Partendo dai dati Istat su imprese e occupazione – alla luce anche della prevalenza del settore terziario (che necessita di maggiori trasferte) sull’industria, delle caratteristiche dei gruppi di imprese e della consistenza delle multinazionali – abbiamo ipotizzato che la percentuale di viaggiatori corrisponda al 20% della popolazione nelle aziende che occupano fino a 9 addetti, si riduca al 15% nelle società che impiegano tra 10 e 49 persone, si abbassi ulteriormente al 10% dove il numero di lavoratori è compreso tra 50 e 249 e risalga al 20%, infine, nelle realtà dove operano oltre 250 addetti. In quest’ultimo cluster, infatti, troviamo generalmente aziende con più sedi e/o appartenenti a gruppi, sia nazionali che multinazionali, e pertanto l’incidenza dei viaggiatori è superiore. Si tratta di un’ipotesi prudenziale sulla cui base l’universo dei business traveller in Italia ammonterebbe a circa 2 milioni 885mila persone. Se supponiamo poi una frequenza media di 4 missioni l’anno per i due cluster centrali e di 5 viaggi, invece, per i due estremi (per le motivazioni sopra ricordate), nonché un costo medio della trasferta pari a 450 euro – non dimentichiamo tale valore, in passato assai più elevato, si è significativamente ridotto negli ultimi anni, come segnalato da tutte le principali agenzie operanti nel business travel – il volume complessivo stimato del mercato raggiungerebbe quota 6172 milioni di euro (cfr. tabella 4). Vale la pena di sottolineare che per volume del mercato intendiamo la biglietteria aerea e ferroviaria, gli hotel e l’autonoleggio, mentre non sono ricompresi i ristoranti, i rimborsi chilometrici e i taxi che pure possono incidere, soprattutto nelle trasferte nazionali, in modo percentualmente rilevante.

Ma abbiamo solo “dato i numeri” o questo valore è suffragato dalle evidenze che ci pervengono dal fronte dell’offerta? Qui il dato fondamentale – e l’unico certo, anche se di difficile reperibilità – è il Bsp Industria (ossia il volume di biglietteria aerea emessa in Italia dai vettori Iata, escluse le compagnie low cost e i charter) che nel 2005 si è attestato a 4 milioni 480mila euro, con una riduzione del 1,2% rispetto all’anno precedente determinata dal calo del traffico nazionale a fronte di una meno che proporzionale crescita dell’internazionale (vedi tabella 5).

È poi opinione diffusa tra gli operatori del trasporto aereo che l’incidenza del segmento business sul totale del volato sia pari al 70%: si può quindi ragionevolmente supporre che le aziende italiane abbiano speso nel 2005 circa 3136 milioni di euro per i loro viaggi aerei. E per quanto riguarda le altre voci che compongono la spesa di business travel? Anche in questo caso mancano i dati complessivi ma i più autorevoli esperti del settore – sulla scorta di quanto evidenziato da benchmark tra aziende nazionali e internazionali – ritengono che, fatto 100 il totale della trasferta, la biglietteria aerea incida per il 50%, l’hôtellerie per il 40% e il rent a car per il rimanente 10%. Sulla base di quest’ipotesi il volume del mercato del business travel nel 2005 sarebbe pari a circa 6272 milioni di euro (cfr. grafico). Un valore probabilmente approssimato per difetto dato che non abbiamo preso in considerazione la biglietteria ferroviaria e i vettori low cost che – pur vivendo una fase di grande sviluppo – non sono ancora riusciti a conquistare il traffico business, se non in modo marginale. Ma un valore comunque piuttosto vicino ai numeri ottenuti partendo dal lato della domanda. A dimostrazione che le nostre ipotesi sono quantomeno “ragionevoli” e trovano adeguati riscontri nella realtà.

Testo di Sasa Carpaneda, Mission N. 5, giugno-luglio 2006

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