Il declino della rete

Negli ultimi vent’anni le compagnie aeree europee, sulla scia di quelle americane, si sono avvalse deigrandi hub aeroportuali, giganteschi nodi di traffico presso i quali confluiscono tutti i voli domestici e internazionali. Questo sistema, denominato “hub & spoke” (letteralmente “mozzo e raggio”, per analogia con la ruota della bicicletta) si è rivelato vincente perché consente ai vettori di ottimizzare le rotte – offrendo ai passeggeri un più intenso numero di collegamenti – e al contempo di diminuire i costi di gestione. Nell’ultimo decennio, però, le cose hanno cominciato a cambiare. L’avvento delle compagnie aeree a basso costo, che basano il proprio modello di business sui voli diretti da scalo a scalo, ha dato nuova linfa ai collegamenti point-to-point, determinando una sorta di ritorno al passato (agli albori del trasporto aereo, infatti, il traffico avveniva esclusivamente da punto a punto). E oggi diversi esperti del settore aereo ritengono che il sistema dei grandi hub sia destinato in futuro ad “andare in pensione”, perlomeno sui voli a corto e medio raggio.

L’origine del sistema

Ma quando è nato il sistema “hub & spoke”? A seguito della deregulation dell’aviazione commerciale, introdotta negli Usa nel 1978, le compagnie aeree statunitensi decisero di riprogettare i network delle rotte. Per essere più competitive e ottenere una migliore gestione delle operazioni di volo sostituirono ai tradizionali collegamenti “point-to-point” un nuovo sistema che prevedeva che i vettori convogliassero verso un aeroporto principale (l’hub, che di solito coincideva con la base operativa della compagnia) i collegamenti domestici e internazionali, per poi ridistribuirli su tutto il network. La nuova struttura, caratterizzata da uno schema “a stella”, comportava la diminuzione dei voli diretti e l’introduzione di scali intermedi presso l’hub aeroportuale. Negli anni Novanta, poi, quando il trasporto aereo fu liberalizzato anche in Europa,le compagnie del Vecchio Continente seguirono l’esempio di quelle americane, concentrando tutte le operazioni e i collegamenti su un unico hub.

I vantaggi

I vantaggi derivanti da questo business model erano rilevanti. In primo luogo consentiva ai carrier di utilizzare per i collegamenti in partenza dagli hub aeromobili di maggiori dimensioni, riducendo in tal modo il costo dei voli per posto-miglio. Lo sfruttamento delle coincidenze sui grandi hub, inoltre, permetteva di potenziare il numero delle frequenze, a tutto vantaggio dei carrier, ma anche dei passeggeri. «Il sistema “hub & spoke” ha permesso ai vettori di aumentare l’efficienza delle operazioni di volo, ma anche di ottimizzare i costi – spiega Iacopo Fusaia, chairman della società di consulenza Welcome on Board, specializzata nel trasporto aereo -: la concentrazione del traffico e degli investimenti su un unico scalo, infatti, ha offerto ai vettori l’opportunità di accrescere il proprio potere di acquisto sui servizi aeroportuali».

Affinché il sistema “hub & spoke” funzioni, però, gli aeroporti devono essere dotati delleinfrastrutture necessarie per gestire i voli in arrivo dai vari spoke, sempre molto ravvicinati (la media delle attese tra un volo e l’altro, in genere, non supera i 45 minuti al fine di attenuare i disagi dei passeggeri). Anche il personale deve essere in grado di condurre le operazioni di imbarco, sbarco, carico e scarico dei bagagli in tempi estremamente rapidi. Per questo negli ultimi anni, questi scali hanno moltiplicato gli investimenti per ampliare le infrastrutture e migliorarne l’efficienza. È prevista entro il 2008, ad esempio, l’inaugurazione del nuovo Terminal 5 di London Heathrow, l’hub principale di British Airways. La struttura, che ha richiesto un investimento di 4,2 milioni di sterline, porterà la capacità dello scalo a 30 milioni di passeggeri l’anno e accoglierà le operazioni attualmente gestite presso i Terminal 1 e 4. Il progetto prevede la realizzazione di tre edifici (uno principale e due satellite, la cui costruzione verrà ultimata entro il 2011), di 60 nuove piazzole per gli aeromobili, di una torre di controllo e di 4000 metri quadrati di parcheggi. Includerà inoltre un albergo con 600 posti letto, un collegamento sotterraneo alla stazione ferroviaria e oltre 18mila metri quadri di negozi, ristoranti e duty free.

Anche oltreoceano gli hub sono stati ampliati e resi più efficienti: il Dallas Fort Worth International, hub di American Airlines, lo scorso anno ha completato i lavori del Terminal D, costato 1,2 milioni di dollari. Ipertecnologica, la struttura è interamente dotata di tecnologia wi-fi e dispone di 8100 posti auto e 67 tra boutique e ristoranti. Per non essere da meno, all’inizio di quest’anno Delta Airlines ha presentato un piano per migliorare i servizi ai passeggeri all’interno del suo hub di Atlanta, l’Hartsfield Jackson Atlanta International Airport. Il programma prevede l’ampliamento degli spazi dedicati ai passeggeri e l’installazione di 24 nuovi terminali per il self check-in.

L’avanzata del point-to-point

Ma allora quali fattori stanno decretando il lento declino dei grandi hub? Come accennato le principali protagoniste del ritorno al sistema point-to-point sono le compagnie aeree a basso costo. «Il sistema point-to-point continua a essere adottato dai vettori di linea sulle tratte non operabili via hub – spiega Fusaia -. Soprattutto, però, viene utilizzato dai vettori “no frills”. Il modello di business di queste compagnie, infatti, prevede l’apertura di una base aeroportuale, lo sfruttamento intensivo di tutti i possibili collegamenti punto a punto e successivamente, una volta saturato quel mercato, la conquista di altri bacini di utenza. Un esempio di questa strategia è offerto da Germanwings, che ha sfruttato appieno i collegamenti operabili dallo scalo di Colonia per poi aprire una nuova base a Stoccarda». Tra i low cost carrier che adottano questo sistema si può citare anche Ryanair, che negli ultimi anni ha aperto ben 16 basi operative in Europa, di cui tre in Italia (a Milano, Pisa e Roma). Con il recente ingresso nello scalo di Barajas, a Madrid, anche easyJet conta attualmente 17 basi europee.

Le ragioni di un successo

Le ragioni del successo dei collegamenti da scalo a scalo sono molteplici. «In primo luogo, grazie alla diffusione dei vettori low cost, gli aeroporti regionali negli ultimi anni hanno ampliato la gamma dei servizi offerti alla clientela – sostiene Fusaia -. Non è quindi più necessario partire da un grande hub per usufruire di un adeguato livello di confort. In secondo luogo, le low cost stimolano la crescita dei collegamenti point-to-point con l’offerta di tariffe estremamente vantaggiose. Infine, i collegamenti da punto a punto permettono di risparmiare tempo rispetto al sistema degli hub, che talvolta costringe il passeggero a lunghe attese in aeroporto tra un volo e l’altro».

«A mio parere il sistema dei voli point-to-point è destinato a crescere e non subirà battute di arresto nemmeno quando, inevitabilmente, il mercato delle low cost attraverserà una fase di consolidamento e i vettori a basso costo meno competitivi usciranno di scena».

Il crescente successo del sistema point-to-point è testimoniato da un’indagine condotta dalla società di consulenza Boston Consulting e pubblicata sulla testata britannica Airline Business. Lo studio prevede che entro il 2025 il 43% dei voli a lungo raggio tra l’Europa e il Nord America saranno point-to-point, contro il 33% registrato nel 2004. I voli da punto a punto operati dall’Europa all’Asia passeranno dal 26% al 40%, mentre sulle tratte dall’Asia al Nord America questo tipo di voli passerà addirittura dal 57% al 73%, riducendo drasticamente le operazioni effettuate con il sistema “hub & spoke”. Un notevole contributo allo sviluppo dei voli point-to-point intercontinentali, inoltre, deriverà dall’avvento di nuovi aeromobili dalle più efficienti prestazioni sul medio e lungo raggio, quali il Boeing 787 o l’Airbus A350.

Per concludere, resta da capire quali saranno gli effetti del declino dei grandi hub sul piano tariffario. «Il rafforzamento del sistema point-to-point porterà alla proposta da parte delle low cost di tariffe sempre più convenienti e a un ulteriore abbassamento dei prezzi delle compagnie di linea, che dovranno adeguare i propri schemi tariffari per mantenersi competitive – dichiara Fusaia -. Come ho accennato, inoltre, i viaggiatori non saranno penalizzati nemmeno sul piano dei servizi aeroportuali, visto che negli ultimi anni gli scali regionali hanno moltiplicato gli investimenti in infrastrutture e servizi e attualmente offrono un confort in tutto e per tutto paragonabile a quello dei grandi hub».

Per scaricare grafici e tabelle di questo articolo in formato PDF clicca qui

testo di Arianna De Nittis

Mission N. 8, novembre-dicembre 2007

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