Nuove sfide per i buyer

La funzione degli Acquisti generali (o non-production o operational) è oggi oggetto di profondi ripensamenti in molte aziende, specie nelle multinazionali “globali”. Questo processo è in corso da diversi anni, prima attraverso alcuni tentativi più o meno riusciti di centralizzazione o verticalizzazione di alcune aree d’acquisto (i call center, ad esempio) e recentemente con una forte spinta all’efficienza dei processi d’acquisto tesa a eliminare le sovrapposizioni tra responsabilità locali e regionali/globali. Attualmente tutte le più importanti organizzazioni globali hanno completato – o hanno in corso – progetti di:

  • ottimizzazione della procedura d’acquisto, tramite strumenti e sistemi informativi centralizzati e, talvolta, gruppi di acquisitori con funzioni operative su più paesi;
  • centralizzazione di alcune importanti aree d’acquisto, quali il business travel, l’information technology, le auto aziendali, il marketing, la consulenza, le agenzie di pubblicità;
  • la verticalizzazione della funzione stessa con una linea di riporto diretto di natura geografica o, più spesso, sommando alla funzione di presidio di una determinata area geografica la competenza su specifiche commodity. Recentemente mi sono imbattuto, ad esempio, nel responsabile acquisti per l’Italia di una grande azienda statunitense che esercita anche le funzioni di travel manager per l’Europa.

Queste novità sono valutate con diffidenza e a volte perfino con timore dagli acquisitori più tradizionali, quelli “di vecchio stampo”, la cui interpretazione del ruolo del buyer coincide pressappoco con la pura gestione del ciclo “richiesta d’acquisto – contatto con fornitore – trattativa – emissione d’ordine e di contratto” in maniera spesso standardizzata e un po’ anonima, a causa del poco tempo a disposizione, dell’abitudine e spesso per demotivazione. A volte l’abitudine mentale porta a non fare quel passo in più, che permetterebbe di migliorare la percezione del ruolo del buyer nell’ambiente aziendale e d’incrementare in modo consistente la sua autorevolezza.

Qualcuno di recente li ha descritti come bravi acquisitori, ma cattivi venditori di sé stessi: è vero, ed è un peccato, visto che il buyer è in posizione privilegiata per assorbire gli stimoli dei venditori, con i quali tratta tutti i giorni. Il buyer spesso si occupa di tante merceologie che non conosce bene, il venditore di una sola che dovrebbe conoscere molto bene: per questo l’acquisitore dovrebbe possedere fra le sue skill le caratteristiche di un ottimo venditore dotato di eccellente tecnica negoziale.

Ma vendere è più difficile che comprare e “vendere” se stessi implica il coinvolgimento personale ed emotivo, la capacità di proporre senza imporre e una chiarezza d’intenti difficili anche per il buyer più smaliziato che – a suo agio nella dialettica del proprio ruolo – non riesce però a sfruttare a proprio vantaggio le armi negoziali che ha appreso in anni di pratica.

Allora la figura del buyer tradizionale, già spesso sottovalutata, sembra in pericolo di fronte ai fenomeni cui accennavo. Una testimonianza raccolta da un collega buyer conteneva la preoccupazione sul proprio futuro minacciato dalla possibilità che giovani laureati ambiziosi e preparati, insieme a nuovi strumenti per la raccolta e l’elaborazione delle informazioni d’acquisto, mandino definitivamente (e anticipatamente) in pensione (si fa per dire…) i buyer più tradizionali, ancorati al contatto quotidiano con il fornitore di fiducia, alla capacità d’individuazione e stesura del cavillo contrattuale, al potere “punitivo” della procedura acquisti, insomma all’amministrazione degli acquisti più che alla loro visione strategica. E’ tutto vero. Ma io rispondo che un senior buyer che basa la sua esperienza soltanto sull’abilità negoziale e contrattuale, sulla pure gestione del processo di richiesta (ricerca fornitore – gara – valutazione – ordine) e sulla correttezza procedurale, senza sviluppare capacità innovative nella propria area di gestione, è fatalmente – e forse giustamente – destinato a soccombere, rimpiazzato da un software di e-procurement, da un modello di centralizzazione che riduce i costi della funzione, da un commodity management.

Strategie di sopravvivenza

E, allora, come fare per sopravvivere? Come può il povero buyer, che fino ad oggi ha dato tutto se stesso sotto la pressione delle richieste da evadere, sottrarsi a questo destino?

Chiaramente non c’è un risposta univoca e dipende dall’ambiente aziendale, dalle caratteristiche dell’organizzazione e anche da quelle del buyer in questione: tra l’acquisitore appassionato e desideroso di approfondire le competenze di una professione che ama e l’atteggiamento, comunque lecito, di colui che si è imbattuto in questo “mestiere” per caso o per vicissitudine personale corre una bella differenza. Sicuramente per uscire dalle secche dell’incomprensione e intraprendere un progetto professionale vincente occorrono decisione e impegno, ai quali non possono essere estranei una certa dosa di passione, interesse personale e curiosità.

Quelli che seguono, quindi, non sono consigli o suggerimenti validi per tutti, ma spunti di riflessione da verificare attentamente nella propria realtà, tenendo sempre fra le priorità i bisogni del “cliente interno”, di colui cioè che del lavoro degli acquisti si avvantaggia come di un importante elemento del proprio business.

Credere nell’innovazione

L’innovazione continua è la propensione a non ripetere le cose nello stesso modo, con l’intento di raggiungere nuovi traguardi, migliorare in efficienza e creare valore. Se l’anno scorso ho fatto bene qualcosa e quest’anno la sto ripetendo nello stesso modo, allora sto sbagliando, perché nel frattempo è passato un anno e il mondo è cambiato e si è innovato: ad esempio sto usando una nuova versione di software, un pc più potente ecc. “Devo” trovare una soluzione diversa, più vantaggiosa, magari più efficiente o più economica o qualitativamente migliore. L’attitudine a innovare, elaborata mentalmente e applicata a tutti i propri progetti, crea i presupposti per un apprendimento e un’evoluzione continua. Non c’è limite all’apprendimento e, se si espandono le proprie conoscenze, allora anche le possibilità di miglioramento del processo e di risparmio si estendono a dismisura: a volte la differenza tra il successo e l’insuccesso sta semplicemente nel crederci o meno e nel perseguire con lucidità ciò in cui si crede.

Un buyer esperto è cosciente del fatto che la maggior parte dei saving non si ottengono dalla trattativa nuda e cruda: il process re-engineering è la leva più potente per realizzare risparmi consistenti. Essere un attore-chiave dei processi di cambiamento e far parte dei gruppi aziendali di studio e di revisione dei processi permette al buyer di poter esercitare la propria influenza di promotore dell’efficienza e del risparmio e di rinforzare la sua autorevolezza quale osservatore “esterno” ai processi e ai modelli di business.

Guadagnare autorevolezza

Un Ufficio acquisti può essere subìto in azienda come un male necessario (procedure, autorizzazioni ecc.) o visto come un business partner. La percezione del valore del suo intervento sarà tanto più alta quanto più il buyer dimostrerà conoscenza dei processi e affinità anche terminologica con il proprio cliente interno.

E’ importante mostrare pragmatismo e ridurre il formalismo e la burocrazia. Molti direbbero che bisogna essere “proattivi”. Occorre sintonizzarsi sulle esigenze dei clienti interni, farsi spiegare i loro obiettivi e cercare di andare al sodo, magari rinunciando alla perfezione: meglio un progetto ultimato velocemente con il 90% di precisione piuttosto che uno perfetto che non finisce mai. Ovviamente i dettagli sono importanti e spesso il buyer deve sollevare i distinguo e precisare con i se e i ma… Tuttavia è fondamentale comprendere che la velocità di reazione e la capacità creativa di elaborare strade alternative a quella consolidata sono le doti più apprezzate da chi si occupa di marketing o di vendite.

Un mio professore universitario diceva: «se non si è creativi non ci si può occupare di controllo di gestione!». Proprio laddove il rigore e la precisione sono caratteristiche fondamentali, è necessario sfoderare un buon livello d’ingegno e d’inventiva, ricordandosi che rispondere “questo non si può fare” è ben diverso dall’affermare “ questo non si potrebbe fare, ma pensiamoci un attimo perché forse troviamo lo stesso il modo di farlo”.

Spesso le opportunità di risparmio sono facili da cogliere, ma non vengono individuate perché lo sguardo è rivolto a progetti più ambiziosi. In questo modo non soltanto rinunciamo a facili possibilità di cogliere risultati, ma ci giochiamo l’opportunità di costruire facilmente delle best practice da sfruttare come esempio per approciare aree più complesse.

Ad esempio, fantastiche opportunità di risparmio derivano spesso dal consolidamento ragionato e dalla riduzione di tanti piccoli fornitori, più che dalla trattativa con i grandi partner d’acquisto, magari già negoziati e rinegoziati. E’ importante guardare all’area di spesa come alla propria area di responsabilità “imprenditoriale”.

Ancora, è importante creare un network di conoscenze di alto livello: fornitori e partner con i quali costruire relazioni professionali, e talvolta anche personali, di grande sintonia. Ciò significa abbandonare il rigido atteggiamento di molti buyer che hanno “paura di compromettersi”, tenendo un comportamento leale ed equidistante, ma anche consapevole del valore delle relazioni umane nel contesto lavorativo. Per questo non bisogna mai sottovalutare le occasioni che i seminari, i forum, gli incentive ecc. possono offrire, ponendo la dovuta attenzione alle regole della propria azienda in materia, ma anche al valore dell’opportunità offerta e dei partecipanti. Con l’obiettivo di accrescere la propria visibilità e reputazione.

La costante valorizzazione del proprio ruolo offrirà sempre nuove opportunità e nuove sfide da affrontare: globalizzazione e verticalizzazione presentano aspetti negativi a tutti noti, ma possono avere anche conseguenze positive. Per esempio, in una struttura verticale il buyer può riportare a un commodity manager che “parla la sua stessa lingua” e conosce bene la materia invece che a un direttore amministrativo o a un controller focalizzati su altre priorità di gestione. Inoltre, nell’approccio globale, chi è stato bravo a sviluppare un certo progetto a livello nazionale (per esempio l’outsourcing di una funzione non-core), può aspirare a essere il project manager a livello globale di quello stesso processo.

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