Per una mobilità sostenibile

Le trasferte eco-compatibili sono l’argomento del giorno: ormai non si contano i convegni su questo tema, le indagini per sondare il grado di Crs (Corporate social responsibility) delle imprese e le soluzioni tecnologiche sviluppate dai fornitori per permettere alle aziende più evolute di ridurre l’impatto ambientale dei viaggi d’affari. Il concetto di mobilità sostenibile, però, non si applica solo al business travel, ma può riguardare, più semplicemente, anche il tragitto che i dipendenti effettuano ogni giorno per raggiungere il luogo di lavoro. Correggendo le abitudini dei propri addetti, infatti, le aziende hanno l’opportunità di contribuire in maniera determinante alla salvaguardia dell’ambiente, visto che il traffico urbano genera attualmente il 50% delle concentrazioni di PM10 rilevate sul territorio nazionale e il 46% dell’ossido di azoto (fonte: Legambiente 2008).

 

Proprio questa è la mission di una “nuova” figura aziendale: quella del mobility manager, che si occupa di fotografare i comportamenti dei dipendenti e di studiare iniziative che inducano all’utilizzo di mezzi di trasporto alternativi all’automobile. Le virgolette sono d’obbligo perché, a dire il vero, proprio nuovo questo ruolo non è: infatti è stato introdotto in Italia nel marzo 1998 a seguito del Decreto Interministeriale Ronchi, promosso dal ministero dell’Ambiente in collaborazione con quello dei Trasporti, dei Lavori Pubblici e della Sanità. La normativa stabilisce che le imprese e gli enti pubblici con più di 300 dipendenti (oppure 800 distribuiti in più sedi), situati in aree a rischio di inquinamento atmosferico, mettano in atto un “piano degli spostamenti casa-lavoro del proprio personale dipendente, individuando a tal fine un responsabile della mobilità aziendale. Il piano è finalizzato – recita ancora l’articolo 13 del decreto – alla riduzione dell’uso del mezzo di trasporto privato individuale e a una migliore organizzazione degli orari per limitare la congestione del traffico”. La normativa stabilisce anche che all’interno dei Comuni sia introdotto il “mobility manager d’area”, una figura che rappresenta un punto di riferimento per i mobility manager aziendali, in grado di supportarne e coordinarne le attività sul territorio.
Di fatto, però, oggi il Decreto Ronchi è ancora scarsamente applicato dalle imprese nazionali. «Il mobility management è un importante strumento attraverso il quale l’azienda può manifestare un comportamento virtuoso nei confronti del proprio territorio – afferma Andrea Pagani, mobility manager per il gruppo Eni -. Ad oggi, però, la sensibilità delle aziende verso questo tema è bassissima, anche perché la mancata applicazione del Decreto Ronchi non implica il pagamento di sanzioni. Va detto, però, che le aziende sopra i 300 dipendenti, per poter accedere ai finanziamenti statali in tema di mobilità, debbono dimostrare di disporre di un mobility manager.
«In ogni caso – prosegue Pagani – non basta la qualifica per fare un buon mobility manager: occorre anche una formazione specifica, che talvolta chi è preposto a questo ruolo non ha». In molti casi, infatti, le aziende si dotano di mobility manager “part-time”, che svolgono contemporaneamente altre mansioni e non dedicano a questo ruolo la giusta attenzione. «Eppure le opportunità di formazione non mancano – sottolinea Pagani -: la Provincia di Milano, ad esempio, organizza corsi fin dal 2001 e ulteriori aggiornamenti a livello nazionale sono offerti da Euromobility, l’associazione che riunisce i mobility manager italiani (www.euromobility.org, ndr)».

Analizzare e intervenire
Ma quali sono i compiti di un mobility manager? «Per mettere a punto un piano degli spostamenti dei dipendenti, deve partire da un’analisi puntuale dello “stato dell’arte”, possibilmente sottoponendo al personale un questionario per comprendere in che modo raggiunge il luogo di lavoro e quali esigenze specifiche ha – spiega Pagani -. Una volta stimato l’impatto ambientale della propria azienda sul territorio, il mobility manager sarà in grado di mettere in campo azioni utili per modificare i comportamenti degli addetti: un lavoro complesso, visto il tradizionale (e spesso incondizionato) amore degli italiani per l’auto. Attualmente circa il 70% dei lavoratori italiani si sposta con la quattro ruote, contro il 30% che utilizza i mezzi pubblici».

L’esperienza di Eni

Veniamo dunque all’esperienza di Eni, colosso del settore petrolchimico presente in 70 Paesi con 76mila dipendenti. «Svolgo la mia attività presso il Centro Direzionale di Eni a San Donato, una sorta di “microcosmo” dotato di case per i dipendenti, centri sportivi e ottimamente collegato con il resto del territorio da autobus e linea metropolitana – dichiara Andrea Pagani -. Sono stato uno dei primi in Italia a occuparmi di mobility management, nel 2001: inizialmente operavo all’interno di una delle società del gruppo. Poi, dal marzo 2008, sono entrato a far parte di Eni Servizi, rispondendo alla decisione di Eni di centralizzare la funzione del mobility manager per tutte le imprese del gruppo e di fornire un unico referente alla Pubblica Amministrazione: oggi, dunque, gestisco la mobilità casa-lavoro dei quasi 40mila dipendenti Eni nella penisola».
Sono numerosi i progetti attuati fino ad oggi dal gruppo Eni: «Ad esempio, abbiamo istituito un servizio di navette per i dipendenti e avviato un servizio di car pooling, ovvero di condivisione della stessa vettura da parte di più addetti che compiono lo stesso tragitto – sostiene Pagani -. E non è che l’inizio: stiamo varando, ad esempio, un piano di “bike sharing” per incentivare l’uso della bicicletta. Inoltre, a gennaio inaugureremo un portale dedicato alla mobilità che rappresenterà un punto di riferimento per i nostri dipendenti: all’interno saranno disponibili numerosi servizi, inclusa la possibilità di rinnovare l’abbonamento ai mezzi pubblici, grazie a un accordo siglato con Atm (Azienda Trasporti Milanesi).  L’obiettivo più ambizioso, però, è dare vita in futuro a un vero e proprio sistema trasporto-lavoro per l’area di San Donato Milanese, che riunisce ben 25mila dipendenti Eni: un progetto gestito dal Comune con il contributo delle aziende del gruppo».

Glossario
Car pooling:
 letteralmente significa “auto di gruppo”. È un sistema che prevede la condivisione di veicoli privati da parte di più persone che compiono lo stesso tragitto. Lo scopo è diminuire i costi di trasporto, ma i vantaggi sono evidenti anche sul fronte della mobilità sostenibile, grazie a una significativa diminuzione dei mezzi circolanti. Questa pratica fatica a prendere piede in Italia, mentre è molto diffusa negli Usa e nel Nord Europa.
Car sharing: letteralmente “condivisione di autovettura”. Consente, previa iscrizione al servizio, di prenotare un veicolo e di usarlo solamente per il tempo necessario, riportandolo poi al parcheggio più vicino e pagando un importo calcolato in base alla percorrenza. I vantaggi dal punto di vista ambientale sono notevoli: diminuzione delle auto circolanti e aumento del numero dei parcheggi disponibili. Molto diffuso in Europa (soprattutto in Svizzera, dove è stato inventato, Germania e Olanda), il car sharing è sostenuto in Italia dal Decreto del 27 marzo 1998, a cura del ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio: per promuoverne lo sviluppo sono stati stanziati oltre 9 milioni di euro ed è stato identificato un partner operativo, ICS Car Sharing(www.icscarsharing.it). Attualmente il servizio è disponibile in dieci città italiane (Bologna, Milano, Firenze, Genova, Modena, Parma, Rimini, Roma, Torino, Venezia).

Bike sharing: attivo in 60 Comuni italiani, è un servizio simile al car sharing, ma prevede l’utilizzo da parte dei cittadini di biciclette per le percorrenze brevi.

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