L’elettrificazione dei mezzi da lavoro — autocarri, furgoni e altri veicoli commerciali — rappresenta un settore cruciale per l’economia e per la transizione verso la neutralità tecnologica promossa dall’Unione Europea, tanto quanto quello delle autovetture.
Un comparto che, proprio come quello delle passenger cars, fatica a ingranare a causa di una serie di ostacoli ormai noti: dai costi d’acquisto più elevati rispetto ai veicoli endotermici, all’ansia da ricarica, fino alle tempistiche di rifornimento più lunghe e a una rete di ricarica ancora insufficiente.
Eppure, impiegare un furgone elettrico può generare un risparmio medio del 21% sul costo totale di possesso (Total Cost of Ownership, TCO) già dopo sei anni di utilizzo. È questo uno dei dati più significativi contenuti nel nuovo studio di Motus-e, dal titolo “Il TCO per la logistica e il trasporto pubblico locale“.
L’analisi evidenzia il vantaggio competitivo dei veicoli elettrici in quasi tutte le voci di costo successive all’acquisto — dal rifornimento alla manutenzione — dimostrando che, a parte il prezzo iniziale, i furgoni elettrici convengono in tutto.
A parte il prezzo iniziale, i furgoni elettrici convengono in tutto
In media, per acquistare un veicolo elettrico da lavoro occorre investire il 59% in più rispetto a un diesel o benzina. Tuttavia, questo divario viene progressivamente compensato da costi di manutenzione inferiori del 37%, spese di rifornimento ridotte del 61% e altri costi d’uso più bassi del 48% (come AdBlue e assicurazione), fino a raggiungere un vantaggio medio complessivo del 21% dopo sei anni.
Un quadro analogo emerge anche per il trasporto pubblico locale (TPL): secondo Motus-E, gli autobus elettricipossono già oggi garantire la parità del TCO rispetto ai diesel intorno al sesto anno di esercizio. Con adeguati incentivi fiscali o tariffari, questa parità potrebbe trasformarsi in un risparmio fino all’8% annuo.
L’unico segmento dove l’elettrico non risulta ancora competitivo è quello del trasporto pesante di lungo raggio, in cui i costi d’acquisto non sono ancora compensati dai risparmi operativi. Tuttavia, secondo lo studio, l’evoluzione tecnologica e la riduzione dei costi delle batterie potrebbero ribaltare questa tendenza entro pochi anni.
L’importanza di una rete di ricarica adeguata
Oltre ai prezzi più accessibili, un fattore decisivo per accelerare l’adozione dei veicoli da lavoro elettrici è lo sviluppo di un’infrastruttura di ricarica capillare e dedicata al trasporto pesante.
Il report “La ricarica degli E-Truck“, sempre a cura di Motus-E, individua le aree più idonee in Italia per installare stazioni di ricarica per camion elettrici, con l’obiettivo di favorire la decarbonizzazione del trasporto merci.
Attualmente, nel Paese esistono solo quattro siti operativi dedicati alla ricarica dei camion elettrici (Vado Ligure, Bagnolo San Vito, Bolzano e Piacenza), mentre altri 10 siti sono in costruzione nell’ambito del programma europeo CEF-AFIF, che promuove infrastrutture per la ricarica elettrica e il rifornimento di idrogeno nei principali nodi logistici europei.
Serve una rete più estesa ed efficiente
Le tecnologie di ricarica previste includono:
- CCS (Combined Charging System) fino a 500–600 kW;
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MCS (Megawatt Charging System) fino a 1.000–3.750 kW, operativo dal 2026.
Le aree italiane a maggiore priorità di installazione si concentrano lungo le principali direttrici:
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A4 (Milano–Venezia),
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A1 (Piacenza–Bologna–Firenze),
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province di Brescia, Modena, Bologna e Firenze.
Non a caso, la percorrenza media dei trasporti merci in Italia (127 km) è perfettamente compatibile con le autonomie attuali dei truck elettrici (200–430 km) venduti in Europa.
Con una collaborazione coordinata tra gestori energetici, DSO, GSE e autorità locali, sarà possibile creare una rete di ricarica efficiente e omogenea, capace di sostenere la transizione elettrica del trasporto merci e di dare un impulso concreto alla mobilità sostenibile e competitiva del Paese.