Cieli liberi

Il 30 aprile sarà ricordato come una data storica per il settore del trasporto aereo: a Washington, infatti, l’Unione Europea ha siglato con gli Stati Unitil’accordo “Open Skies Plus”, che consentirà ai vettori dei due continenti di accedere liberamente e reciprocamente ai rispettivi mercati. L’intesa sostituisce i ventidue accordi bilaterali siglati in passato dagli Usa con i singoli Stati membri. Di questi, solo sedici (incluso quello stipulato con l’Italia) erano accordi “Cieli aperti”, mentre gli altri prevedevano maggiori restrizioni. «Questo accordo è l’asse portante del rafforzamento delle attuali relazioni transatlantiche e, insieme, è un grande passo a sostegno dell’aviazione internazionale – ha dichiarato Jacques Barrot, vicepresidente della Commissione Europea sui trasporti -. Consentendo che nuovi servizi vengano avviati dagli scali del Vecchio continente si darà impulso sia al mercato transatlantico sia all’industria europea. Già adesso essa ne sta sperimentando gli effetti positivi, con piani relativi a nuovi collegamenti e segnali di un approccio più flessibile e dinamico agli investimenti da parte delle linee aeree».

Positiva anche la valutazione della Iata, International Air Transport Association, che spera che la nuova intesa contribuisca a dare slancio all’industria. «Le compagnie aeree – ha dichiarato Gianni Bisignani, direttore generale e ceo dell’associazione – hanno bisogno di una maggiore libertà commerciale per portare avanti al meglio i propri business e servire davvero i passeggeri. L’accordo tra Usa e Ue è un passo nella giusta direzione». L’associazione ha auspicato anche la rapida definizione di un secondo stadio di liberalizzazione. «L’industria richiede un cambiamento radicale e Usa e Unione Europea hanno il peso necessario per ottenerlo. È il momento di prefiggersi obiettivi aggressivi per ampliare le opportunità su entrambi i lati dell’Atlantico».

I punti dell’accordo

Ma che cosa prevede il nuovo accordo? In sintesi, esso permetterà a tutte le compagnie aeree americane ed europee di percorrere qualunque rotta tra gli aeroporti Usa e quelli dell’Ue. Ad esempio, Lufthansa avrà la possibilità di collegare Parigi con New York, mentre Alitalia potrà volare da Francoforte a Chicago. Inoltre, le compagnie aeree europee potranno operare voli diretti dalle città europee a paesi che non fanno parte dell’Unione, come la Svizzera.

Il risultato, ovviamente, sarà una maggiore concorrenza tra i vettori, a tutto vantaggio dei passeggeri, che potranno scegliere tra una più ampia gamma di collegamenti e usufruire di tariffe più basse. Secondo le stime dell’Ue poi, l’accordo (che entrerà in vigore a tutti gli effetti il 30 marzo 2008) frutterà al settore un incremento di diversi milioni di euro, favorirà un significativo aumento del traffico passeggeri e consentirà di creare oltre 80mila posti di lavoro nell’arco di cinque anni.

I prossimi passi

Sempre entro il 30 marzo del prossimo anno, inoltre, verranno avviate le trattative per la stipula della seconda fase dell’accordo, volta a creare una vera e propria Open Aviation Area: un unico mercato che includa Stati Uniti ed Europa, all’interno del quale le compagnie aeree dei due continenti possano effettuare investimenti e fornire i propri servizi senza alcuna limitazione, accedendo liberamente anche ai reciproci mercati domestici. «Sono lieto dell’impegno sottoscritto oggi dai leader di entrambi i lati dell’oceano per dare la massima priorità alla stipula di un secondo stadio dell’accordo – ha detto in proposito Barrot -. Abbiamo ancora molto lavoro da compiere per aprire maggiormente i nostri mercati aeronautici, far fluire i capitali più liberamente e intensificare la cooperazione su temi quali la sicurezza e l’ambiente».

Un po’ di storia

Ma come sono nate le intese sul traffico aereo internazionale? Le prime risalgono allaConvenzione di Chicago, siglata nel dicembre 1944. In quell’occasione i 52 stati firmatari stabilirono cinque “libertà dell’aria” al fine di disciplinare la navigazione aerea: il diritto di sorvolare il territorio di uno stato contraente, senza atterrare; il diritto di effettuare scali tecnici (ad esempio, per rifornirsi di carburante) sul territorio di uno stato contraente, senza però imbarcare o far sbarcare passeggeri; il diritto di atterrare nel territorio di un altro stato e far sbarcare passeggeri, posta e merci provenienti dallo stato di cui l’aeromobile ha la nazionalità; il diritto di atterrare nel territorio di un altro stato e imbarcare passeggeri e merci in viaggio verso lo stato di cui l’aeromobile ha la nazionalità; il diritto di atterrare in uno stato contraente e imbarcare passeggeri e merci dirette verso un terzo stato (è il caso, ad esempio, di un volo dagli Usa alla Francia che faccia scalo in Gran Bretagna per caricare merci e passeggeri da sbarcare in Francia).

Negli ultimi vent’anni gli Stati Uniti hanno lavorato alacremente per raggiungere l’obiettivo dei cieli aperti, cominciando a stringere accordi bilaterali con altri paesi già nel 1979. Risale agli anni Novanta la stipula dei primi accordi con gli stati europei. In particolare, due passi importanti per la liberalizzazione dei cieli sono stati la firma nel 1992 del primo accordo di open skies con i Paesi Bassi, portata avanti nonostante l’opposizione delle autorità dell’Ue, e la firma, il 21 dicembre 2001, del Maliat (Multilateral Agreement on the Liberalisation of International Air Transportation), che coinvolgeva, oltre agli Usa, il Brunei, il Cile, la Nuova Zelanda e Singapore.

La reazione dei vettori

Com’era prevedibile, l’accordo Open Skies è stato accolto con entusiasmo dalle compagnie aeree americane, che hanno intravisto l’opportunità di ampliare i propri network e conquistare nuovi mercati. Tra queste Delta Air Lines, vettore che offre collegamenti per 308 mete in 52 Paesi, tra cui ben 31 destinazioni transatlantiche. «Sin dall’inizio delle trattative, Delta è sempre stata favorevole ad accordi di open skies sul mercato transatlantico poiché questi comportano vantaggi per i milioni di passeggeri che viaggiano ogni anno tra Stati Uniti ed Europa» ha dichiarato infatti Jerry Grinstein, ceo di della compagnia, alla vigilia dell’accordo. I collegamenti tra Usa ed Europa rivestono un ruolo strategico per il vettore, che alla fine del 2006 ha trasportato oltre cinque milioni di passeggeri tra i due continenti.

Positivi anche i commenti di Continental Airlines. “La compagnia – si legge in una nota ufficiale – è sempre stata a favore dei trattati open skies, purché questi concorrano a creare un mercato equilibrato e competitivo. Il vettore confida che l’attuale accordo tra Stati Uniti e Unione Europea possa rappresentare per lui una buona possibilità di competere in tutti gli importanti mercati europei. Continental Airlines inoltrerà domanda presso l’authority globale open skies per poter servire tutte le nazioni dell’Unione Europea”. Attualmente Continental Airlines opera oltre 3100 voli al giorno per 150 località negli Usa e 136 destinazioni internazionali. Propone complessivamente 28 destinazioni transatlantiche, la maggior parte delle quali fanno parte dell’Ue.

In effetti, questi accordi rappresentano per le compagnie americane un’ottima opportunità per incrementare i revenue e lasciarsi definitivamente alle spalle il lungo periodo di crisi attraversato negli ultimi anni. Come è noto, infatti, tutti i principali vettori Usa, tranne American Airlines, sono stati posti sotto la protezione del Capitolo 11, il capitolo dell’United States Bankruptcy Code (la legge fallimentare federale) che consente alle imprese in gravi difficoltà finanziarie di avviare un piano di recupero della redditività, al riparo da eventuali istanze di fallimento dei creditori. La già citata Delta Air Lines, ad esempio, ne è uscita il 30 aprile, a conclusione di un piano di riorganizzazione durato 19 mesi.

Anche le compagnie aeree europee, però, si sono schierate a favore dell’accordo. «L’intesa rappresenta un primo passo verso una giusta direzione e i primi a trarne beneficio saranno sicuramente i consumatori – sostiene Hubert Frach, direttore generale di Lufthansa Italia -. Crediamo che con l’accordo Open Skies il mercato trarrà beneficio da un aumento globale dell’offerta di collegamenti aerei e da un conseguente incremento del numero di passeggeri.

«L’accordo, oltretutto, rappresenta un primo passo verso l’Open Aviation Area – prosegue Frach -. Oltre a incrementare la libera concorrenza, porterà a un’ulteriore armonizzazione anche su questioni che riguardano l’ambiente e la sicurezza».

Apprezzamento anche da parte di Air France-Klm. L’accordo, si legge in un comunicato del gruppo, “permetterà ad Air France e Klm di proporre i propri collegamenti non stop da qualsiasi punto dell’Unione Europea e degli Stati Uniti (per esempio, il volo Francoforte-Atlanta operato da Delta grazie a un accordo di marketing con Air France). Air France e Klm saranno inoltre in grado di espandere il network di Star Alliance e di offrire ai viaggiatori nuove rotte transatlantiche”.

Inoltre, Aer Lingus ha fatto sapere che, grazie all’accordo Open Skies, entro la fine del 2007 amplierà la gamma di collegamenti per gli Stati Uniti. «Aer Lingus ha atteso per molto tempo questo giorno per poter pienamente sviluppare il traffico di lungo raggio tra l’Irlanda e gli Usa – ha detto Dermot Mannion, chief executive del vettore -. Quest’estate riceveremo in consegna due nuovi aeromobili A330 per il lungo raggio ed entro la fine dell’anno inaugureremo tre nuove rotte per gli Stati Uniti». Le destinazioni raggiunte saranno Orlando, Washington Dulles e San Francisco. Il primo collegamento, Dublino-Orlando, partirà a ottobre.

Da segnalare, infine, che Virgin Atlantic ha stanziato ben 100 milioni di sterline (oltre 147 milioni di euro) per lanciare entro due anni nuovi voli giornalieri per New York dalle principali città europee, quali Parigi, Francoforte, Milano, Zurigo, Amsterdam e Madrid.

Prospettive per i low cost

L’accordo sembra destinato ad aprire nuove prospettive anche per il mercato low cost. Ryanair, la principale compagnia a basso costo europea, ha confermato l’intenzione di inaugurare nuove rotte di lungo raggio tra l’Europa e gli Usa. Il ceo Michael O’Leary ha fatto sapere che i voli partiranno entro la fine del 2010 e serviranno cinque o sei città americane, tra cui Baltimora e Providence, nel Rhode Island. Wizz Air, poi, ha annunciato l’inaugurazione di sette voli tra la Romania e cinque città europee. In particolare, la compagnia collegherà Bucarest con Barcellona, Budapest, Dortmund, Londra Luton e Roma Ciampino, e Targu Mures con Barcellona e Ciampino. E intanto, la no frills canadese Zoom, a partire da giugno, ha cominciato a proporre nuovi voli Londra-New York, a tariffe stracciate (a partire da 190 euro).

Infine, gli accordi di Open Skies spingono i vettori a stipulare alleanze strategiche e a valutare nuove fusioni e acquisizioni: pare, ad esempio, che United Airlines abbia chiesto all’Antitrust americano l’autorizzazione a operare in partnership con la compagnia britannica bmi.

Accordi anche in Asia?

Intanto, anche le compagnie aeree asiatiche sembrano convinte dei vantaggi derivanti dall’apertura dei cieli, tanto da auspicare accordi simili anche per le rotte di quest’area. Tra i promotori di questi accordi spicca Korean Air, che ha proposto al Governo di Seoul l’apertura di trattative tra la Corea, il Giappone e la Cina. Intanto, anche il Giappone sta meditando di aprire i propri scali ai vettori internazionali per dare maggiore impulso al mercato del trasporto aereo.

Ma su Heathrow è già polemica

Tutti contenti, dunque? Non esattamente. British Airways, infatti, ha fatto sapere di ritenere l’intesa “Open Skies Plus” mediocre ed eccessivamente vantaggiosa per i vettori Usa. «British Airways si è sempre schierata contro l’accordo Open Skies perché troppo sbilanciato a favore degli Stati Uniti – conferma Mark Moscardini, sales manager per l’Italia e Malta di Ba -. Da quanto è emerso dal Consiglio dei ministri del 22 marzo 2007, all’interno dell’accordo è stata inserita una clausola che prevede la possibilità per l’Unione Europea di revocare automaticamente i nuovi diritti di traffico nel caso in cui non entri in vigore una vera Open Aviation Area entro il 2010.

«Nonostante questo sia un accordo mediocre per la Gran Bretagna e per l’Europa, siamo pronti a sfruttare in favore dei nostri passeggeri e del business tutte le opportunità da esso offerte – prosegue Moscardini -. Grazie alla strategia attuata negli ultimi anni, volta a semplificare il business e a razionalizzare i costi, e agli investimenti sostenuti per migliorare i nostri prodotti e servizi (tra cui i 100 milioni di sterline investiti per la Nuova Club World e i 350 milioni per il nuovo Terminal 5, che aprirà a marzo del 2008), riteniamo di aver raggiunto una posizione solida per poter sfruttare al meglio quanto ci viene offerto da questo accordo. A questo scopo, abbiamo recentemente inviato al Department of Transportation statunitense la richiesta di poter operare tra qualsiasi aeroporto negli Stati Uniti e qualsiasi scalo all’interno dell’Unione Europea, e in questo modo crescere sui segmenti per noi più profittevoli».

A detta di alcuni, ciò che preoccupa la compagnia è la perdita della propria posizione dominante su Heathrow, uno dei principali scali internazionali europei, a causa dell’ingresso nello scalo delle compagnie aeree statunitensi. Prima del 30 aprile, infatti, il traffico aereo tra Usa e Regno Unito era regolato dall’accordo Bermuda II. Siglato nel 1978, esso consentiva solo a quattro vettori (British Airways, Virgin Atlantic, American Airlines e United Airlines) di operare collegamenti tra Heathrow e gli Stati Uniti. L’ipotesi è confermata anche dalle testate di settore britanniche. In un articolo della rivista “Business Travel World” (“Open season?”, di Mark Faithfull, maggio 2007) ad esempio, si legge che “l’accesso all’aeroporto di Heathrow, l’hub europeo più trafficato, si aprirà alla piena competizione, ponendo fine al redditizio oligopolio sui collegamenti transatlantici siglato nel 1978 […]”.

I vettori statunitensi, del resto, non fanno mistero del proprio interesse per lo scalo londinese. «L’assenza di un accordo bilaterale che permettesse la liberalizzazione completa ha limitato la concorrenza e ha impedito a Delta l’accesso all’aeroporto londinese di Heathrow, e quindi a voli diretti tra lo scalo internazionale e Atlanta – ha dichiarato ad esempio Jerry Grinstein di Delta -. Siamo a favore di un accordo che consenta a Delta e ai suoi partner di SkyTeam una maggiore presenza sul mercato europeo, in particolare sull’aeroporto di Heathrow». Infatti, nelle scorse settimane la compagnia ha fatto sapere di essere alla ricerca di sei slot giornalieri nell’aeroporto britannico.

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