Il confronto aiuta a crescere

Il 25 giugno presso l’Andreola Hotel di Milano sono stati presentati i risultati del “Business travel benchmarking 2006”, organizzato dalla società di consulenza 2BConsistent del gruppo Cse-Crescendo con la collaborazione di Newsteca. Le associazioni dei direttori del personale (Aidp) e dei direttori commerciali e marketing (Adico) hanno divulgato e patrocinato l’iniziativa.

Una definizione di benchmarking

Benchmark, letteralmente punto di riferimento, significa confronto tra prestazioni di soggetti diversi. Fare benchmarking vuol dire, quindi, confrontare le proprie prestazioni con quelle di altri definendo un punto di riferimento come obiettivo.

Il benchmarking può essere fatto sia tra soggetti diversi all’interno della stessa azienda sia tra aziende diverse. Ovviamente il benchmarking si effettua confrontando le stesse pratiche (attività) e/o i numeri (prestazioni) di soggetti diversi.

Aggiungendo a questa tecnica il supporto di un soggetto esterno, affidabile e competente, è possibile confrontare anche dati o situazioni aziendali delicate mantenendo la riservatezza della fonte e ottenendo, comunque, informazioni preziose al supporto di decisioni di cambiamento strategico.

I vantaggi

Ma quali sono i vantaggi? Il primo vantaggio che si ricava dall’effettuare benchmarking è la consapevolezza della completezza dei dati che si possiedono per governare il fenomeno aziendale sotto indagine: più è difficile e laborioso rispondere a un questionario di benchmarking e meno si ha sotto controllo il fenomeno in esame. Il secondo vantaggio deriva dal confronto delle proprie prestazioni (efficienza nella gestione ed efficacia nella spesa) con altre organizzazioni. Infine, un terzo vantaggio è legato alla possibilità di definire priorità d’azione in funzione del proprio posizionamento rispetto agli altri e ai propri obiettivi.

Il business travel benchmarking 2006

L’iniziativa di 2BConsistent è stata promozionale e le aziende che hanno partecipato non hanno sostenuto alcun costo. Nonostante la gratuità, tuttavia, a fronte di 207 aziende informate dell’iniziativa, solo 68 (33%) hanno annunciato la volontà di partecipare mentre hanno effettivamente partecipato fornendo i propri dati solamente 50 aziende (24%). Questo dato la dice lunga sulla effettiva importanza che le aziende italiane danno al fenomeno di spesa relativa ai costi di viaggio!

Considerato che le spese di viaggio, la famosa riga di bilancio “spese di viaggio & rappresentanza” si collocano come valore, secondo le più autorevoli fonti, tra il secondo e il quarto posto per importanza della spesa aziendale; rimane incomprensibile come possa essere così poco considerata una tale opportunità di confronto. In realtà, analizzando più a fondo i dati delle cinquanta aziende che hanno dato il giusto peso all’iniziativa, si può capire la ritrosia, se non la paura, delle altre 157 che non hanno voluto o potuto partecipare. I dati che seguono, ma soprattutto quelli forniti direttamente ai partecipanti, sono confortanti solamente in pochi casi: meno delle dita di una sola mano!

Solamente 31 partecipanti (62%) dichiarano di avere personale specializzato (dedicato totalmente o parzialmente) in organico, mentre ben il 42% non sa (o non vuol dichiarare) quale è il numero di persone che si occupano della gestione delle spese di viaggio in azienda. Il 54% delle aziende che hanno dichiarato di avere personale dedicato, colloca la responsabilità della gestione presso la direzione del personale (18%) e degli approvvigionamenti (36%).

Un dato significativo e preoccupante è che il 70% dei partecipanti dichiara che chi si occupa delle spese di viaggio ha visibilità e responsabilità solamente sulla fase di pianificazione e prenotazione delle trasferte, mentre non ha alcuna influenza su tutto ciò che accade dopo la trasferta. Ciò significa che le aziende non “vedono” le spese di viaggio come unico processo aziendale fatto di una causa (esigenza di una trasferta di lavoro) e di un effetto (sostegno di spese). Di conseguenza, quando prendono decisioni splittano il “fatto contabile e amministrativo” (controllo delle note spese) dal “fatto comportamentale” (autorizzazione alla trasferta e prenotazione servizi di viaggio). In tal modo risulta evidente la mancanza di governo globale del fenomeno con conseguenti maggiori costi sia di gestione (tempi di attraversamento dei processi) sia di approvvigionamento (diverse modalità di approccio all’offerta di mercato a fronte di diversi servizi necessari).

Il rapporto con l’agenzia di viaggio

Altro dato importante che emerge riguarda il rapporto tra l’azienda e l’agenzia di viaggio; molto cammino è stato fatto riguardo alle modalità contrattuali di regolamentazione del rapporto cliente-fornitore e oggi ben il 69% delle aziende oggetto del benchmarking hanno un contratto a transaction fee, ossia pagano l’attività che gli operatori del proprio agente di viaggio svolgono a fronte delle richieste aziendali. Addirittura il 54% ha inserito in contratto il meccanismo virtuoso del cost avoidance sharing cioè, a fronte di un miglioramento economico delle tariffe pagate l’agente di viaggio percepisce una quota di premio; nel caso in cui ciò avvenga significa che la professionalità dell’agente di viaggio è al servizio dell’azienda nella ricerca delle tariffe più convenienti. Si innesca quindi la reciproca soddisfazione nel venir pagati di più per il servizio (agenzia) a fronte di una consistente riduzione del costo effettivo del titolo di viaggio (azienda).

Attenzione, però, nonostante questi dati,  dieci aziende su 50 non sanno quanta forza lavoro viene impiegata dall’agenzia di viaggio al servizio del contratto in essere e il 30% di quanti hanno risposto non ha conoscenza del dato. Ciò significa che queste aziende non possono effettuare un calcolo del costo del servizio del proprio fornitore e quindi non sono in grado di giudicare se il costo che stanno sostenendo è congruo; in altri termini si accontentano della sensazione, affidandosi alla scienza non esatta della “nasometria”.

Un dato curioso: alcuni partecipanti hanno dichiarato di non avere un processo documentato relativo alla pianificazione delle trasferte e al controllo delle spese di viaggio; va da sé che queste aziende non saranno mai in grado di controllare la spesa.

Continuando nell’analisi del documento di sintesi che abbiamo realizzato (un’abstract è disponibile sul sito www.2bconsistent.it/newsPopup13.htm), osserviamo che quattordici aziende su cinquanta (28%) si sono dotate di un sistema informatico di colloquio con l’agenzia di viaggio. Questo dato va analizzato insieme alle informazioni presentate nella sezione dedicata all’analisi dei processi di lavoro, dove le aziende che dichiarano di avere un processo di pianificazione delle trasferte informatizzato sono trentuno (62%), sei delle quali utilizzano tale sistema anche come self booking tool.

Le aziende che risultano dotate di un sistema informatico dedicato al flusso delle note spese (expense process automation) sono ventiquattro (48%); undici di questi sistemi consentono il controllo automatico del rispetto delle regole di viaggio. E veniamo così alle famose “regole di viaggio”, altrimenti dette travel policy: l’8% delle aziende non ha una travel policy, mentre il 93% delle aziende che la possiede dichiara che non vi sono sanzioni in caso di non rispetto. Sappiamo tutti che una regola senza una pena è come un obiettivo senza premio: in sostanza non vale niente. Siamo in un Paese in cui anche in presenza di una pena l’applicazione delle norme è estremamente aleatoria, figuriamoci come vengono considerate regole che non presentano controindicazioni precise.

Sistemi di pagamento

I sistemi di pagamento, secondo quanto emerge dal panel di partecipanti all’indagine, stanno lentamente andando verso la strada della smaterializzazione del denaro; la metà esatta delle aziende utilizza una carta di credito centralizzata per il pagamento soprattutto della biglietteria aerea, mentre il 72% ha dotato alcuni dipendenti di carta di credito individuale sia nella versione central billing (su contro aziendale) che in quella individual billing (su conto del dipendente).

In merito alla reportistica la totalità delle aziende si affida a quanto fornito dalla propria agenzia di viaggio; è evidente, anche in questo caso, come l’ottica aziendale sia di avere visibilità su quanto emerge dal processo di pre-trip (tutto ciò che succede prima del viaggio) e di considerare altra “parrocchia” (contabilità) quanto accade in fase di post-trip. E questo è un vero e proprio guaio! Infatti, come abbiamo già affermato, il post-trip esiste perché si è innescato un pre-trip, di conseguenza il massimo del governo del fenomeno si ottiene avendo visibilità e responsabilità sulla totalità del processo.

Ovviamente l’elencazione di tutti questi dati va incrociata con i costi sostenuti dalle aziende nell’esercizio quotidiano del governo delle spese di viaggio sia per quanto concerne i costi diretti (spese di acquisto di prodotti/servizi sul mercato) sia riguardo i costi indiretti (costo dei processi interni e dell’agenzia).

E’ un mestiere che nel mondo anglosassone viene definito “travel management” e richiede, come tutte le attività manageriali di un’azienda, informazioni e indicazioni precise sia dall’interno della struttura aziendale (strategie e politiche di gestione del personale) che dal mondo esterno (fornitori e offerte di mercato).

I numeri

Premesso che i numeri relativi alle aziende partecipanti, ancorché non riconoscibili in quanto criptati, sono disponibili solamente per le aziende medesime, come sottoscritto da 2BConsistent nel patto etico all’inizio della rilevazione, il valore complessivo di spesa, dichiarato dalle 50 aziende partecipanti, ammonta a circa 54 milioni di euro di biglietteria aerea e a circa 15 milioni di euro di pernottamenti; la spesa media di ogni azienda partecipante è pari a 2.300.000 euro equivalente a un valore espresso da una tipica azienda medio-grande italiana. Attenzione, la spesa media non è la divisione algebrica del totale rispetto alle aziende partecipanti ma è la media reale dei dati disponibili, visto che alcune aziende non hanno inserito i numeri relativi ai pernottamenti (altro punto dolente!).

Il panel dei partecipanti rivela una distribuzione nei settori merceologici decisamente equilibrata, mentre il delta tra il “big spender” (ca.5 milioni) e il “low spender” (ca. 400mila) è superiore a 1:10.

Il dato sconfortante è quello relativo ai costi di gestione interni, i cosiddetti “costi di processo”. Ricordiamo che tali costi sono semplicissimi da determinare in quanto derivano dalla somma del tempo passato da ogni persona nell’effettuare una o più attività pertinenti all’argomento: basta prima determinare tale somma, quindi moltiplicarla per il numero delle volte che in un anno le azioni si svolgono, infine moltiplicare il risultato per il costo medio aziendale di una persona. Se vogliamo farlo con maggior precisione possiamo dividere le attività per figura professionale e utilizzare il costo aziendale di ogni singola figura per poi sommarlo.

Bene questa attività, che tutte le aziende effettuano nei settori produttivi in quanto indispensabile per stabilire il costo di produzione di un manufatto, nel caso dei processi inerenti le spese di viaggio viene effettuata solamente dal 9% delle aziende interpellate; la conseguenza per le altre è che non vengono determinati i costi di processo interno, non si conosce il grado di efficienza delle persone e non si può determinare nessuna azione di miglioramento in quanto non si ha a disposizione un proprio termine di paragone utile per poi paragonarsi con altre realtà esterne.

La conseguenza di questa mancanza di conoscenza determina, quasi sempre, un’alta incidenza del costo di processo in relazione alla spesa da gestire e, soprattutto, una bassa performance in termini di percentuale di cost avoidance.

In parole semplici vuol dire pagare di più i titoli di viaggio (biglietti, pernottamenti ecc.) e spendere di più in attività d’ufficio senza aver la possibilità di dimostrarlo se non con la famosa “nasometria”.

Alla fine di questa sequela di numeri e di percentuali la sensazione che rimane è quella espressa all’inizio: sembra che le aziende italiane abbiano timore ad affrontare l’argomento. 2BConsistent ha lanciato l’iniziativa promozionale sui dati 2006 per stimolare le aziende a riflettere sull’utilità di un’attività continuativa di confronto strutturato; l’ideale sarebbe istituire un indicatore standard di efficacia e di efficienza aziendale di settore da utilizzare per confrontarsi sui progetti di miglioramento continuativo. Proprio per questo 2BConsistent ha proposto per il futuro un’attività di benchmarking con cadenza semestrale, affiancata da un assessment personalizzato per ogni azienda iscritta e una intervista con feed back per ogni delegato aziendale iscritto.

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