Mangiar bene in trasferta

Una prima colazione ricca e ben bilanciata. È la prima regola del mangiar sano per chi viaggia. Sempre e ovunque: anche quando ci si muove per lavoro. «I fisici più magri e i più tonici al mondo sono quelli degli olandesi», spiega il nutrizionista Attilio Speciani. «E questo proprio perché lo stile alimentare del loro breakfast è un mix ideale di nutrienti equilibrati: aringa cruda appena comprata al mercato e pane di segale».
E se non si ha voglia di aringhe alla mattina, cosa si può fare?
«Basta evitare i modelli italiani e francesi: niente cappuccino e brioche, insomma, ma una colazione ricca di carboidrati integrali a lento assorbimento, nonché di proteine e frutta».
Il che, tradotto in termini pratici, cosa significa?
«Vuol dire pane integrale, magari spalmato con il miele o con della marmellata senza zucchero. Vanno bene anche i fiocchi di cereali integrali: da non confondere, però, con quelli normalmente in commercio; i migliori spesso si trovano più facilmente in erboristeria piuttosto che sugli scaffali dei supermercati. Per quanto riguarda le proteine, invece, oltre alle uova, si possono mangiare le noci, le nocciole o le mandorle. Oppure ancora il salmone. Per chi ama la colazionecontinentale, inoltre, è ottimo il prosciutto crudo o quello cotto, purché privi di conservanti e coloranti. Da non dimenticare, infine, i formaggi primo sale, quelli freschi e la ricotta. L’importante, in tutti i casi, è rispettare il nostro orologio biologico: fare la colazione, cioè, entro 45 minuti dal risveglio».
E quando si è in viaggio?
«Io personalmente, e mi creda mi muovo moltissimo, scelgo sempre gli alberghi in base alla qualità della prima colazione. Rischiare di saltare il pasto mattutino, pur ricorrendo a succedanei per tappare il cosiddetto buco, può portare a stati ipoglicemici con conseguente calo della concentrazione. Non un granché per chi deve affrontare un’intensa giornata di lavoro».
Resta, però, il fatto che, durante una trasferta, non sempre si ha la possibilità di scegliere come e quando mangiare…
«Ma si può sempre tenere in borsa una riserva di viaggio: una sorta di “schiscetta”, direbbero i milanesi. Il contenuto può variare, naturalmente; io però di solito porto con me una mela, qualche mandarino, nonché mandorle o arachidi, purché non siano tostate e salate».
Tra i nemici tradizionali di una corretta alimentazione lontano da casa, in particolare per chi si sposta frequentemente, c’è anche il famigerato panino. Ma è proprio vero che, in questi casi, occorre rassegnarsi a mangiar male?
«Assolutamente no. Prima di tutto, fortunatamente, sta crescendo il numero di esercizi che mettono a disposizione dei propri avventori una selezione di pani integrali. Il panino serio esiste ed è fatto, per esempio, di due fettine integrali ripiene di pollo cotto al vapore, oppure ancora di prosciutto o di un uovo sodo. Il tutto arricchito da abbondanti verdure: insalata, spinaci, coste bollite o pomodori, per intenderci. Non c’è bisogno di mangiare solo del pane bianco con del salame. Basta avere un po’ di inventiva e creatività, per chiedere un tramezzino adatto alle proprie esigenze. Nei bar si trovano spesso delle fettine di roast-beef per i piattini: perché non proporre di utilizzarle anche per un panino? La regola, in questo come negli altri casi, è quella di assicurarsi un piatto completo. Anche quando si tratta di un semplice panino».
Cosa si intende esattamente per piatto completo?
«Un pasto composto dalla giusta dose di carboidrati complessi (pane, pasta, riso, patate), di proteine (carne, pesce, uova, formaggio, affettati, noci) e di frutta o verdura. È la base della nostra dieta Gift, ma è un principio sostenuto anche dal dipartimento dell’agricoltura statunitense».
E le diete dissociate, quelle che consigliavano, a ogni pasto, di consumare solo alimenti di un certo tipo, che fine hanno fatto?
«Continuano a facilitare le digestione, ma pure le malattie legate all’aumento della resistenza insulinica, cioè all’alterazione dell’equilibrio degli zuccheri. E badi che tale scompenso è all’origine dell’80% delle patologie oggi più diffuse: dalle depressioni alle malattie cardiovascolari, fino alle allergie, all’obesità, ai tumori e al diabete. Mantenere una dieta equilibrata significa quindi apportare un beneficio complessivo a tutto il proprio corpo».
In sintesi, perciò, come si dovrebbero bilanciare i pasti tra colazione, pranzo e cena?
«Partendo dal presupposto essenziale per cui ognuno di essi dovrebbe essere il più possibile completo, l’ideale è un breakfast abbondante, un pranzo mai in piedi e una cena leggera, fatta quasi solo di piccoli assaggi».
I classici spuntini di metà mattina o metà pomeriggio sono da abolire, quindi?
«Guardi, esiste un ormone, che interviene dopo circa due ore e mezzo di digiuno e il cui nome fa immancabilmente ridere chi viene alle mie conferenze. È il glucagone: aiuta il consumo di grasso e la sua trasformazione in zucchero. La sua azione, però, viene inibita proprio dagli spuntini. Quando si avverte il classico languorino post-digestione va benissimo, perciò, mandar giù qualcosa, come per esempio un bel frutto, per tamponare l’appetito. Ma poi è meglio analizzare cosa si è mangiato durante i pasti principali, e la volta successiva, magari, aumentare un po’ le dosi».

Una buona notizia per chi viaggia. Ma quando si è all’estero, come si fanno a rispettare i propri principi nutrizionali ideali, al contempo adattandoli ai contesti climatico – ambientali in cui ci si trova?
«Basta imitare le buone abitudini delle popolazioni locali: adattarsi, cioè, a quello che mangiano le persone del posto. Salvo, naturalmente, insormontabili situazioni di rifiuto. Mi viene in mente, per esempio, un mio viaggio in Cina di qualche tempo fa: provai ad assaggiare una colazione tipica, ma ne trovai subito insopportabili odori e sapori. Per la verità, successe unicamente a me; i miei compagni di viaggio non provarono il benché minimo fastidio: capii allora che il breakfast cinese, semplicemente, non faceva per me. E decisi di mangiare tailandese per il resto della mia permanenza nell’ex Celeste impero. Ma al di là delle situazioni contingenti e personali, vale sempre il principio di adattarsi alle abitudini alimentari del luogo in cui ci si trova. Persino qui da noi in Italia, la colazione tradizionale, prima dell’esasperazione commerciale sperimentata con l’avvento delle cosiddette merendine, era molto più abbondante e completa di quanto non lo sia adesso».
Pensando all’importanza che può avere il dormire bene, per chi ogni sera prova un letto differente, che rapporto esiste tra il cibo e il sonno?
«Un altro ormone del nostro corpo, la leptina, è una molecola segnale prodotta dal tessuto adiposo: funziona come una sorta di radar della nutrizione e presiede all’attivazione di tutta una serie di funzioni ormonali. Se al corpo non arriva un segnale di ricchezza, di nutrizione sufficiente, è come se si attivasse la spia della benzina: molti ormoni non si mettono in moto e l’organismo riceve un segnale di allerta, che agisce sulla sostanza reticolare attivatrice, responsabile della regolazione del nostro stato di veglia. In altre parole, se non mangiamo a sufficienza, il corpo tende sia ad accumulare grassi appena può (ed è il motivo per cui le diete ipocaloriche sono destinate all’insuccesso nel lungo periodo), sia a reagire, allertando l’organismo perché questi si predisponga a trovare e a cacciare una nuova preda. Un istinto primordiale che certo non facilita il sonno. Se invece la leptina si attiva, l’organismo riceve un segnale di soddisfazione che aiuta il rilassamento e il riposo. E dormire bene significa anche attivare la lipolisi. Con tutti i benefici che ciò comporta in termini di regolazione della massa grassa».
Caffè e tè sono sicuramente due tra le bevande più popolari per ridarsi la carica nei brevi momenti di pausa tra un incontro di lavoro e l’altro. Ma servono davvero? 
«Recentemente entrambi sono stati oggetto di un’intensa opera di rivalutazione. Pare infatti assodato che tè e caffè, nei soggetti in cui non provocano effetti reattivi negativi, possano esercitare un’azione anti-Alzheimer e anti-Parkinson, nonché stimolare alcune funzioni vitali del nostro organismo. L’importante, però, è che il consumo di caffè e di tè non rappresenti una scusa per assimilare dello zucchero. Poche cose sono peggiori della dolcificazione degli alimenti. Basti pensare che mescolare un cucchiaino di zucchero in una tazzina significa già immettere il doppio del contenuto glicemico presente nel nostro sangue: una botta che produce, per reazione, una quantità di insulina paragonabile».
Quando si parla di alimentazione, le evidenze scientifiche a volte si confondono con i gusti personali, le convinzioni radicate e un certo sciovinismo culturale, che fa prediligere i prodotti locali a prescindere da ogni altra considerazione. Esistono dei falsi miti che si sentirebbe di smentire?
«Sì certo, ce ne sono parecchi. A cominciare, come ho accennato in precedenza, da molti dei cereali più diffusi in commercio. Ma anche la dieta mediterranea, così come la si intende generalmente oggi, è un falso mito: funziona solamente se si consumano grani e pani integrali, nonché molte verdure crude. Lo sapeva, per esempio, che i prodotti lievitati o fermentati, come il pane bianco, possono generare un’azione di defocalizzazione mentale, simile a quella dell’alcol? E c’è persino chi sfrutta questa controindicazione poco conosciuta per assicurarsi un vantaggio competitivo in fase di contrattazione».
Mi riesce difficile da credere…
«Guardi, qualche tempo fa svolsi una consulenza per una grande banca europea. Uno dei dirigenti mi confessò allora un trucco utilizzato negli uffici di una sim newyorkese dove aveva lavorato in passato: per ammorbidire le controparti nelle negoziazioni più difficili, servivano loro panini appena cotti, mentre i mediatori di casa si limitavano a mangiare della frutta. Non capivano esattamente per quale motivo, ma il trucco funzionava. Ecco allora che mangiarsi un panino imbottito mentre si guida in autostrada, magari già con un po’ di stanchezza arretrata, non è proprio l’ideale».
Quindi tra il cibo e le performance lavorative esiste una correlazione?
«Certo. Le dirò di più: è ormai dato per assodato dalla comunità scientifica che le noci, non tostate e cotte, riducano il declino cognitivo dell’individuo».
Quali sono quindi, in conclusione, i benefici di un’alimentazione bilanciata e corretta per un business traveller?
«Né più né meno di quelli che può sperimentare qualsiasi altra persona. Con un’ulteriore evidenza: qualche tempo fa ho tenuto un articolato programma formativo sui temi della nutrizione, per un’importante azienda produttrice di elettrodomestici. Al termine del percorso, il loro direttore commerciale mi ha svelato i risultati del progetto: ebbene, non solo i collaboratori hanno mostrato un grande livello di soddisfazione per il corso, ma anche l’impresa ha registrato, nei mesi successivi, una riduzione dei tassi di morbilità e di assenteismo. E si parlava, nella maggior parte dei casi, di venditori abituati a farsi 90 mila chilometri in auto all’anno e a lavorare anche con 38 di febbre».

Chi è Attilio Speciani
Specialista in allergologia, immunologia clinica, anestesiologia e rianimazione, Attilio Francesco Speciani è docente di nutrizione in due differenti corsi master per medici, presso l’Università degli studi di Milano e l’Alma mater di Bologna. A oggi conta diciotto pubblicazioni su riviste mediche specialistiche italiane e internazionali. Giornalista pubblicista, ha scritto numerosi volumi e articoli di tipo divulgativo su stampa specializzata o su quotidiani nazionali. È inoltre condirettore scientifico della rivista medica Medicina Naturale, nonché membro attivo della European academy of allergy and clinical immunology (Eaaci) e della New York academy of sciences. Insieme a Luca Speciani è ideatore della dieta di segnale Gift, che non si basa sul controllo delle calorie, ma che sfrutta i segnali naturali, per stimolare il metabolismo attraverso l’attivazione dei centri di regolazione (cerebrali) dell’ipotalamo verso il consumo piuttosto che verso l’accumulo.

Testo di Massimiliano Sarti, Mission n.1, gennaio-febbraio 2013

Lascia un commento

*