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Da quando è stata completata la liberalizzazione del trasporto aereo nel Vecchio Continente questo settore è mutato molto velocemente. Risale al primo aprile 1997 l’approvazione del terzo pacchetto europeo, che completò un processo durato dieci anni e fu caratterizzato da una forte resistenza dei vettori nazionali, destinati misurarsi negli anni seguenti con una competizione sempre più forte. A mettere a dura prova i carrier tradizionali fu anche la nascita delle compagnie a basso costo: alla fine degli anni Novanta, infatti, le prime low cost europee trasportavano ancora pochi milioni di passeggeri e disponevano di basi operative che molto raramente si trovavano al di fuori del loro Paese. Tuttavia questi vettori furono i primi a comprendere che la tendenza a basarsi sui mercati nazionali, che aveva fino a quel momento caratterizzato l’industria europea, era destinata a mutare velocemente e che la competizione, in futuro, si sarebbe giocata almeno a livello europeo.
A distanza di solo quattro anni dalla liberalizzazione, il settore aereo fu colpito da un primo, forte shock: l’attacco alle Torri Gemelle, che introdusse un elemento di insicurezza in tutta l’industria e causò la crisi dei vettori tradizionali. Alcune di queste compagnie reagirono tagliando i costi, mentre altre, più deboli, furono costrette a portare i libri in tribunale. Mentre ciò avveniva, i vettori low cost continuavano nella loro crescita impetuosa, anche tramite fusioni.

Il declino del sistema? hub & spoke?
Una delle tendenze più rilevanti nella ristrutturazione messa in atto dai vettori tradizionali è stato il dehubbing. Ma che cos’è un hub? Spesso si tende a definire con questo termine un aeroporto particolarmente grande, commettendo un errore. Può essere infatti chiamato così solo un aeroporto posto al centro del sistema di network “hub and spoke” (in italiano “mozzo e raggi”) di una compagnia aerea, nel quale i voli di feederaggio servono anche a riempire quelli di lungo raggio. Ad esempio, i passeggeri di Air France (compagnia che ha il proprio hub nello scalo di Parigi Charles de Gaulle) raggiungono lo scalo parigino da destinazioni secondarie, quali Nizza o Bordeaux. Molti di essi, poi, transitano nell’aeroporto per prendere un volo a lungo raggio della compagnia transalpina.? Di fatto, dunque, esiste un hub solo se esiste una compagnia tradizionale in grado di costruire un network hub and spoke. Non ve ne sono molti in Europa: giusto per fare qualche esempio oltre a quello già citato di Parigi Charles de Gaulle, si possono menzionare lo scalo di Amsterdam, al centro del network di Klm, quello di Londra Heathrow, hub di British Airways, o quello diFrancoforte, utilizzato da Lufthansa. Nel nostro Paese, solamente Alitalia ha costruito un sistema del genere su Roma Fiumicino, dove la sua quota di mercato è pari a quasi il 50% del traffico totale dello scalo.
Le compagnie low cost, invece, si sono sempre caratterizzate per una struttura “point to point”, basata sul collegamento diretto di due destinazioni senza passare da un hub. Anche in questo caso, però, qualcosa sta cambiando: mentre il dehubbing di alcune compagnie tradizionali ha colpito alcune destinazioni, quali Milano o Barcellona, i vettori a basso costo si stanno evolvendo lentamente verso un modello ibrido. Questo cambiamento del modello di business delle “no frills” si manifesta anche nel crescente utilizzo degli scali primari, anziché esclusivamente degli aeroporti regionali, come avveniva in passato. Lo hanno fatto Vueling, poi easyJet e ora anche Ryanair, che ormai utilizza, oltre a Barcellona e Madrid, anche Bruxelles Zaventem e Roma Fiumicino. Una tendenza, questa, che si nota molto di più laddove vi è stato un dehubbing. Prendiamo il caso di Milano Malpensa, “famoso” per l’abbandono di Alitalia nel 2008. Il “Piano Prato”, dal nome dell’ex amministratore delegato di Alitalia, decise di lasciare lo scalo varesino per concentrare gli sforzi della compagnia su Roma Fiumicino. La SEA, il gestore aeroportuale degli aeroporti milanese, decise di puntare sul lowcost e, in particolare, di lasciar sviluppare easyJet. Nel 2007, prima del dehubbing, Alitalia aveva il 49% della quota di mercato su Milano Malpensa, mentre easyJet non arrivava al 10%. Nel corso dei successivi sei anni, la situazione è completamente cambiata, così come la strategia dei low cost. Nel 2013 easyJet era il primo operatore sullo scalo con il 35% della quota di mercato, mentre Alitalia non arrivava al 10 per cento.
Di fatto, la leadership sullo scalo è passata a easyJet, che nel frattempo si è evoluta verso un modello di business più tradizionale: la clientela d’affari, ad esempio, è divenuta sempre più importante per la compagnia inglese e per raggiungerla il vettore ha deciso di cominciare a utilizzare anche i Gds. La gestione dei costi, però, rimane quella di un low cost, con valori inferiori ai 6 centesimi di euro per passeggero/chilometro offerto. La compagnia è ormai il primo vettore nei collegamenti tra i grandi aeroporti europei, avendo anche diverse basi sparse su tutto il Continente.
Un’altra caratteristica dei low cost, perlomeno i maggiori, è stata comprendere che è essenziale essere presenti in tutta Europa e non solo in un determinato mercato. Al tempo stesso, i vettori tradizionali hanno cominciato a tagliare molti “frills” diventando di fatto simili ai vettori a basso costo. Tuttavia è difficile per un operatore tradizionale riuscire ad avere una struttura di costi come quella delle compagnie “nate” low cost.

Il caso dello scalo ?di Barcellona?
Un altro aeroporto nel quale il dehubbing ha consentito lo sviluppo del traffico low cost è quello di Barcellona. Qui Iberia aveva costituito il suo secondo hub spagnolo. Dopo la privatizzazione, però, decise di effettuare una ristrutturazione che prevedeva, oltre al taglio del personale per ridurre i costi, anche lo smantellamento della struttura di doppio hub Madrid-Barcellona. Nel 2005 la quota di mercato principale dello scalo catalano era nelle mani del vettore tradizionale, con circa il 38%. Le low cost detenevano un market share più modesto: easyJet il 6% e Vueling aveva il 5%, mentre Ryanair operava solo dall’aeroporto secondario di Girona.
Il dehubbing di Iberia ha aperto l’opportunità per i low cost di mettere una base a Barcellona, e nel corso degli otto anni successivi il panorama è cambiato completamente. Vueling è diventata, con oltre 12 milioni i passeggeri, il primo operatore nello scalo, mentre Iberia detiene ormai solamente il 3%. Nell’aerostazione anche il secondo e il terzo vettore sono low cost, rispettivamente Ryanair con il 12% e easyJet con l’8% della quota mercato.
Vueling ha modificato in maniera ancora più rilevante la propria struttura di business: Non solo le sue tariffe sono visualizzabili sui Gds, ma addirittura ha creato un sistema di transiti nello scalo di Barcellona. Di fatto, molto lentamente, l’aeroporto sta diventando per la compagnia catalana un piccolo hub. Il fatto che Vueling faccia parte del gruppo IAG, insieme con Iberia e British Airways, aiuta a sviluppare una strategia comune e accordi di code sharing, utili anche per lo sviluppo dell’aeroporto.
Nonostante questa evoluzione, anche Vueling continua di fatto ad essere una compagnia low cost, con un costo per posto/chilometro offerto inferiore ai 6 centesimi (il 27% in meno rispetto a Iberia). Al tempo stesso sta modificando la struttura dei ricavi, non più incentrata sulla vendita via web, e sta puntando a una clientela molto più ampia rispetto ai semplici turisti leisure. Ormai è difficile considerare Vueling e easyJet come due low cost classiche, così come vettori tradizionali non lo sono più così tanto. I due modelli stanno di fatto convergendo, lasciando sul campo solo gli operatori efficienti e facendo uscire di scena quelli meno efficienti.

Testo di Andrea Giuricin, Mission n.6, ottobre 2014

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