Cieli a dieta

Pranzo a bordo, addio. Fino a qualche anno fa le compagnie aeree facevano a gara per proporre menù elaborati, contendendosi i passeggeri a suon di pasti studiati da chef di grido, raffinate carte dei vini e specialità tipiche. Ma oggi, in tempi di grave crisi del settore, l’esigenza sempre più sentita di contenere i costi ha portato a rivedere radicalmente il concept di ristorazione. E così si riduce la scelta di pietanze in business e first class e sul lungo raggio, mentre sui voli nazionali, al posto del tradizionale pasto servito su un vassoio, compaiono soluzioni alternative e decisamente meno dispendiose.

A inaugurare questo nuovo trend sono state, come è noto, le compagnie aeree low cost, che hanno impostato le loro strategie proprio sulla riduzione all’osso dei servizi di bordo e sull’assenza di catering, se non a pagamento. Una scelta vincente, che ha dimostrato come i passeggeri siano in fondo più attratti dalle tariffe convenienti che dalla qualità dei menù. Senza contare che una compagnia “no frills” consolidata come Ryanair ha dichiarato che il 35% dei profitti dipende dalla vendita dei servizi aggiuntivi (prenotazioni alberghiere, noleggio auto, ma anche acquisto a bordo di snack, caffè e acqua minerale).

Pasti salati

Ma quanto incide la ristorazione sul budget delle compagnie aeree tradizionali? È stato calcolato che il catering costa ai vettori circa 18 miliardi di dollari l’anno ed è la terza voce di spesa dopo il carburante e gli stipendi al personale. E che, in media, le compagnie spendono per un pasto di business class, tra preparazione e servizi aggiuntivi, circa 200 dollari. Del resto, per farsi un’idea delle cifre connesse al catering di bordo, è sufficiente sbirciare nella “lista della spesa” di un grande carrier come British Airways, che nel 2002 ha servito ai suoi passeggeri 40 tonnellate di pollo, 22 tonnellate di salmone affumicato, 6 tonnellate di caviale, 90mila casse di champagne e circa mezzo milione di scatole di cioccolatini. Ancora, i passeggeri di Delta Airlines consumano ogni anno vino per circa 8 miliardi di dollari, mentre Klm ne distribuisce in media 46 milioni di bottigliette da un quarto di litro. I costi sono elevatissimi, dunque, e spesso sono aggravati da una cattiva gestione della “dispensa”: secondo la società Sita/Inflair, gli ordini eccessivi rispetto alle effettive esigenze e lo scarso controllo dei rifornimenti portano i vettori a buttare via 250 milioni di dollari all’anno in pasti e bevande non consumati.

Insomma, nessuna meraviglia che i carrier tradizionali abbiano deciso di darci un taglio: le prime a rivoluzionare la ristorazione sono state le compagnie americane (le più pesantemente colpite dalla recessione economica e dai drammatici eventi internazionali), che hanno cominciato a vendere pasti o bevande sui voli domestici e in classe economy. Continental Airlines, ad esempio, pur avendo annunciato un piano per il miglioramento del servizio pasti, l’anno scorso ha applicato anche alle classi nobili delle tratte internazionali le stesse regole adottate per i voli interni e per la classe economy: tutte le bevande alcoliche vengono servite a un prezzo di 4 dollari ciascuna.

L’ultima in ordine di tempo a introdurre i pasti a pagamento è stata Us Airways, che dopo un periodo di prova di sei mesi, a luglio ha abolito il consueto spuntino servito durante i collegamenti nazionali o inferiori alle 700 miglia. In sostituzione, è stato introdotto il servizio “In Flight Cafè Meal”, che propone la vendita di snack, colazioni o pranzi più elaborati.

I vettori europei e asiatici, invece, fino a oggi hanno adottato una linea più morbida e graduale. Qualche esempio? Lo scorso maggio la compagnia spagnola Air Europa ha inaugurato due nuovi prodotti sui voli a corto raggio: la prima, per i voli di durata inferiore a due ore, consiste in una tazza di caffè solubile accompagnata da dolci e cioccolata. La seconda, per i collegamenti più lunghi, include anche l’offerta di un tramezzino. Anche Sas, la compagnia di bandiera scandinava, ha studiato un nuovo catering per lo Scandinavian Direct, navetta per i voli interni con una sola classe di servizio. I menù, a base di sandwich, seguono cinque differenti temi: asiatico, scandinavo, “fusion”, mediterraneo e vegetariano. E vengono serviti in contenitori di plastica riciclabile.

Anche bmi british midland, lo scorso dicembre, ha mandato in pensione il caro, vecchio vassoio. Panini caldi, yogurt, piatti caldi e freddi, frutta e dessert vengono infatti serviti con il “Bento”, un nuovo contenitore studiato in collaborazione con le principali imprese di catering. Una volta tolto il coperchio, la scatola – realizzata in plastica riciclabile – si trasforma in un comodo vassoio, con tanto di porta bicchiere.

Svolta anche per Alitalia: a partire da giugno ai passeggeri dei voli nazionali viene distribuito un box personalizzato con i colori della compagnia, contenente un piccolo snack, disponibile in versione salata o dolce. Un provvedimento dettato, secondo le dichiarazioni del vettore, dall’intento di «razionalizzare al meglio le operazioni di erogazione del servizio, mantenendo inalterata l’attenzione rivolta ai passeggeri». E intanto, il quotidiano svizzero Tages-Anzeiger ha rivelato che Swiss intende proporre il catering a pagamento in classe economy. Anche in questo caso, a motivare la scelta è la necessità di affrontare la difficile situazione economica che il vettore elvetico sta attraversando.

Comunque, gli amanti delle “abbuffate ad alta quota” non devono disperare: vi sono ancora compagnie aeree che, in controtendenza, continuano a puntare sulla qualità dei menù. È il caso diTap Air Portugal, che a febbraio ha introdotto in classe business una serie di nuovi piatti basati su ingredienti tipici portoghesi. La compagnia ha anche annunciato che l’innovazione verrà estesa alla classe economy entro la fine dell’anno. Delta Airlines, inoltre, lo scorso maggio ha lanciato nella classe “Businesselite” il programma Vinum, con una ricca selezione di vini e champagne scelti appositamente da Ken Chase, un enologo di fama internazionale.

Le imprese del settore

A fare le spese della nuova tendenza ai “pasti light”, ovviamente, sono le società di catering, che rischiano di ridurre drasticamente i profitti. Attualmente, il mercato mondiale della ristorazione dei cieli ammonta a circa 15 miliardi di dollari l’anno, con una crescita media annua nell’ordine del 5% e un totale di circa 100mila lavoratori diretti. Un business considerevole, il 60% del quale è nelle mani di tre colossi del catering: innazitutto LSG Sky Chefs, controllato al 100% da Deutsche Lufthansa AG. La società, che nel 2002 ha raggiunto un fatturato di circa 3,1 miliardi di euro, è in costante crescita e nel 2002 ha consolidato la propria posizione nel settore grazie all’acquisizione di Lufthansa Catering Logistic, società per i servizi di bordo e distribuzione di apparecchiature per aeromobili, e di Sabena Catering. Con circa 35mila dipendenti, LSG Sky Chefs produce 364 milioni di pasti all’anno e serve 260 compagnie aeree in tutto il mondo. In Italia, la società opera con 1250 dipendenti e quattro sedi situate negli aeroporti milanesi di Linate e Malpensa, a Torino Caselle e a Roma Fiumicino. Con 9,4 milioni di pasti e 35 clienti, è il più importante operatore del settore nella nostra penisola.

Venticinquemila dipendenti e un fatturato di oltre 2 miliardi di euro (dati del 2001) sono i numeri diGate Gourmet, società fondata da Swissair e rilevata lo scorso dicembre dal grande gruppo Texas Pacific Group, già proprietario di Continental Airlines e America West e in predicato per l’acquisto di United Airlines.

Infine troviamo Servair, filiale di Air France fondata nel 1971. Con un risultato netto consolidato di 15,4 milioni di euro nel 2002, un giro d’affari di 450 milioni e 7690 dipendenti, la società fornisce 40 milioni di pasti all’anno (una media di 110mila al giorno) a ben 130 compagnie aeree. E ha 50 sedi in Europa, nove in America, sette in Africa e Oceano Indiano, 12 in Oceania e cinque in Asia. Da segnalare che di recente l’azienda ha rilevato la Gama, una tra le più importanti imprese italiane di in-flight catering, con sedi ad Ancona, Bari, Verona, Firenze e Palermo. La società, che ha assunto il nome di Servair Chef srl, serve 20 scali italiani.

Tagli anche alle pellicole

L’attuale clima di contenimento dei costi nel settore aereo non coinvolge soltanto i menù. A farne le spese sono anche il più classico degli intrattenimenti di bordo, la proiezione di film. Per risparmiare, infatti, i vettori americani Us Airways e United hanno deciso di cambiare le pellicole in programma sui voli nazionali con cadenza mensile anziché bisettimanale. Delta ha addirittura cominciato a proporre film di qualche anno fa, mentre Continental Airlines ha ridotto da otto a cinque le versioni in lingua straniera disponibili. Provvedimenti, questi, che a detta delle compagnie consentiranno risparmi di qualche milione di dollari.

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