Studio Usa mostra l’impatto del terrorismo sul business travel

Più dei due terzi dei business traveller ritengono che andare in zone ritenute “poco sicure” abbia un effetto psicologico su di loro e sulle loro famiglie. A dirlo è uno studio effettuato negli Stati Uniti, patrocinato dall’Associazione dei corporate travel executive (Acte) che insieme a una rivista specializzata made in Usa ha intervistato 605 viaggiatori abituali e 270 professionisti del settore.

Lo studio ha rivelato anche che sono soprattutto i familiari e gli amici (nel 77% dei casi) a essere in ansia quando il proprio caro parte per una destinazione considerata “a rischio”. Solo il 16%, però, ritiene di essere preoccupato in prima persona.

Il 31% ha anche ammesso di essere propensi a non mostrare riluttanza del viaggiare per lavoro, dato che la cosa potrebbe ripercuotersi negativamente sulle loro carriere. Il 6% pensa addirittura che non si sentirebbe a proprio agio nell’esprimere ai capi le proprie preoccupazioni. Un altro dato: il 10% degli intervistati ha detto di non avere alcuna paura verso il terrorismo, mentre il 25% di averne un pochino.

Ma sembrano essere altre le vere paure dei business traveller: più che il terrorismo, il timore è di subire rapine o aggressioni oppure di andare in paesi ad alto rischio sanitario. Tuttavia, il 33% ha ammesso di sentirsi meno sensibile alla necessità della tutela della privacy se questo serve a combattere il terrorismo.

Ma alla fine, il rischio terrorismo ha portato dei cambiamenti nella propria organizzazione aziendale? Il 44% dei viaggiatori e il 51% dei professionisti del business travel hanno affermato di aver cambiato delle cose, per senso di responsabilità verso chi viaggi.

 

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