Network: quale futuro?

A detta di Ainet, l’Associazione Italiana Network Turistici, oggi i network di agenzie di viaggio rappresentano il 45% delle circa 9000 adv italiane e vantano un market share pari alla metà dell’intero settore dell’intermediazione turistica. Una quota rilevante, nonostante la crisi che ha afflitto il turismo negli ultimi anni abbia fatto vacillare gruppi che hanno segnato la storia del turismo nella penisola: per esempio il gruppo Cit (Compagnia Italiana Turismo), operativo in Italia con la rete di punti vendita in franchising Cit Travel Net, ha chiuso il bilancio 2004 con una perdita netta di quasi 112 milioni di euro e con un indebitamento pari a 192 milioni.

Sembra giunta a conclusione, invece, la tormentata vicenda delle 32 agenzie a marchio Sestante, rete distributiva del gruppo Parmatour. Il 15 dicembre 2005 le agenzie sono state rilevate da i Grandi Viaggi SpA, insieme ai marchi e ad altri asset appartenenti a Parmatour. In seguito si è vociferato che il tour operator intendesse cedere le agenzie, ma la notizia è stata prontamente smentita.

A fronte di aziende che chiudono i battenti, comunque, il mondo dei network turistici è anche caratterizzato da nuovi ingressi e investimenti. Negli ultimi mesi, ad esempio, Bti, filiale italiana del gruppo Hogg Robinson, ha annunciato l’espansione della sua divisione “leisure” Bti On Holiday, grazie all’affiliazione di tredici nuovi punti vendita in Emilia Romagna, Toscana e Marche. Attualmente le agenzie affiliate sono oltre 20, cui si aggiungono le sei business unit di proprietà di Bti. In totale, oggi operano nel nostro paese circa 63 reti di agenzie basate su differenti formule di affiliazione, dal “classico conversion franchising”, il primo modello aggregativo messo a punto nel nostro paese, ai recentissimi contratti di associazione in partecipazione. La stragrande maggioranza di questi gruppi è specializzata nell’offerta di prodotti leisure, anche se esistono network dedicati al business travel, quali Uvet American Express Corporate Travel eLufthansa City Center, consorzio italiano legato all’omonimo network internazionale.

Recentemente poi si sono moltiplicati i gruppi d’acquisto, associazioni di agenzie che cercano di strappare migliori condizioni contrattuali ai fornitori: l’esempio più eclatante è Bravo net, network della società Promo net che a settembre contava già 140 iscritti e intendeva chiudere l’anno a quota 180 agenzie.

Il fenomeno dei network, nel nostro paese, risale all’inizio degli anni Ottanta con l’esperienza della società Turbo Italia, seguita nel 1987 da Giramondo e, nel 1990, da Buon Viaggio Network, il primo gruppo a proporre un modello di affiliazione evoluto, basato sul concetto di “erogazione di servizi” alle agenzie partner. Ma lo sviluppo più importante è avvenuto nella seconda metà degli anni Novanta, quando, sulle ali dell’entusiasmo per i risultati ottenuti dai primi network, si è cercato, mettendo in campo tutta la fantasia italiana, di dar vita a nuovi modelli aggregativi.

Per comprendere le dinamiche di questo settore e le principali formule di affiliazione adottate in Italia abbiamo consultato Adriano Biella, presidente di Ainet, membro della giunta esecutiva Fiavet e docente di economia e gestione delle imprese turistiche presso l’Università degli Studi Milano Bicocca. «In Italia, il modello aggregativo attualmente più diffuso è il conversion franchising, la prima formula adottata. Consiste nell’affiliazione di agenzie di viaggio già avviate, che abbandonano una metodologia di lavoro individuale per convertirsi a logiche di gruppo – spiega Adriano Biella -. Negli ultimi anni, poi, sta ottenendo un considerevole successo il sistema dell’associazione in partecipazione, adottato per primo da Blu Vacanze e, in seguito, daTravelshop, Vivere & Viaggiare by Cisalpina Tours e Cafè Voyage. Si tratta di un network formato da agenzie di proprietà, la cui gestione viene affidata ad associati che si impegnano a seguire rigidamente le direttive e le strategie imposte dal proprietario. I gestori si fanno carico delle spese dell’agenzia e, in cambio, percepiscono royalty sulle vendite. Vi sono, poi, le reti di franchising (ad esempio <b<uniglobe< b=””>e Frigerio Viaggi Network) che vengono adottate come modelli da quei network che puntano a dare notevole impulso e visibilità al marchio: i titolari delle agenzie acquistano dal franchisor un pacchetto che include l’immagine dell’agenzia, le tecnologie, i servizi e i prodotti».

Ognuna di queste formule ha punti di forza e svantaggi. «Rispetto alle altre formule associative, i gruppi basati sull’associazione in partecipazione, così come quelli costituiti da agenzie di proprietà, sono i più “performanti” – chiarisce Biella -. Il proprietario, infatti, può imporre ai punti vendita una politica commerciale omogenea. Di contro, queste reti per crescere richiedono investimenti rilevanti. Il franchising puro, invece, ha il vantaggio di consentire una rapida espansione del brand senza importanti investimenti da parte del franchisor, i cui costi sono limitati allo start-up, alla formazione del personale e all’aggiornamento dei servizi. Comporta però per il franchisee costi di avviamento più elevati rispetto ad altri modelli di aggregazione.

«I network meno costosi sia per l’affiliante che per l’affiliato sono, invece, quelli basati sul conversion franchising: in questo caso, infatti, le agenzie che si affiliano hanno già alle spalle una struttura consolidata e un management d’esperienza, meno disponibile ad accettare le imposizioni commerciali dettate dal network».

In realtà nel panorama aggregativo italiano predominano le formule miste. Sono numerosi, infatti, i gruppi formati da agenzie di proprietà e in franchising, o che fanno convivere il modello dell’associazione in partecipazione accanto ad altre formule.

Molta improvvisazione, poca professionalità

Nei mesi scorsi le pagine delle testate di settore hanno ospitato una lettera aperta di Roberto Gentile, amministratore delegato di Frigerio Viaggi Network: un’analisi spietata sui network, che – a suo dire – stanno attraversando una fase di stallo e sono privi di nuovi slanci imprenditoriali. «Come tutte le rivoluzioni, esaurita la fase “violenta” e stabiliti i vincitori, rimangono sul campo di battaglia i morti e i feriti – commenta Gentile, da noi contattato -. Con le dovute proporzioni, quella subita dal retail turistico italiano alla fine degli anni Novanta, tra liberalizzazione delle licenze e impatto con le nuove tecnologie, è stata una rivoluzione epocale. Modelli di business applicati da decenni sono stati spazzati via in pochi anni e a pagarne le conseguenze sono state tanto le adv stand-alone, quanto i network. La crisi attuale è una crisi di crescita, non è né strutturale né irrecuperabile: esistono aziende vincenti con progetti lungimiranti e risorse adeguate. Certo che per i “furbetti del quartierino” non c’è più molto spazio. Le parole chiave per una distribuzione di successo, infatti, sono professionalità, innovazione e management».

«I network sono in una situazione estremamente complessa – aggiunge Fausto Meneghetti, amministratore delegato di Buon Viaggio Network -. Siamo un popolo di individualisti che non accetta imposizioni dall’alto. Perciò, attualmente, le realtà che nel panorama agenziale sembrano cavarsela meglio sono i gruppi proprietari o in partecipazione, che riescono a imporre le proprie strategie commerciali alle agenzie. Poi ci sono i network come Buon Viaggio, che è nato agli inizi degli anni Novanta e ha come punto di forza l’erogazione di metodologie e strumenti ad hoc. Infine impazza la “fantasia italiana”, rappresentata dai gruppi d’acquisto all’insegna della filosofia: “associamoci, così strappiamo mezzo punto di commissione in più”, nonché i network che vendono il marchio, senza offrire al franchisee servizi e strumenti a reale valore aggiunto.

«Dal canto loro, le agenzie ritengono che scopo di affiliarsi a un network sia solo l’ottenimento di commissioni più vantaggiose – prosegue Meneghetti -. Non attribuiscono invece il giusto peso alla qualità dei servizi offerti dal network e agli strumenti che un gruppo serio è in grado di fornire. Nel settore turistico esistono pochi imprenditori e domina l’improvvisazione».

«L’intera economia mondiale è in fase di stallo e questa condizione non può non riguardare anche il nostro settore – afferma Francesco Bianca, membro del consiglio direttivo di Lufthansa City Center e titolare dell’agenzia Vam Viaggi Alto Milanese -. Ormai da qualche anno stiamo vivendo una situazione altalenante alla quale, purtroppo, dobbiamo abituarci e che non ci permette di fare programmi a media o lunga scadenza. Per quanto riguarda i network, devo dire che troppo spesso questa parola viene usata in modo generico; ritengo invece importante fare una distinzione fra network di leisure e network di business travel da un lato e fra network realmente strutturati e semplici gruppi di acquisto, dall’altro».

L’identikit del network “modello”

Resta da chiedersi quali caratteristiche debba avere un network per essere realmente competitivo e ritagliarsi uno spazio di rilievo in un mercato sempre più competitivo. «I punti di forza di un network? Se il network è strutturato come un vero e proprio sistema di distribuzione, in grado di fornire strumenti e servizi a reale valore aggiunto, può funzionare, anche se è costituito da agenzie in franchisee, meno “controllabili” delle agenzie di proprietà – commenta Meneghetti -. I gruppi d’acquisto, invece, costituiscono il principale fattore di debolezza del settore».

«Vorrei partire dall’esempio del network di business travel Lufthansa City Center, che contrariamente ad altre realtà del panorama turistico non sta vivendo alcuna crisi di identità. Riunisce 35 imprenditori affermati che sono “vulcani” di idee nelle proprie aziende e di conseguenza anche nel network di cui fanno parte, ed è dotato di una struttura molto forte, con un key account di alto profilo e un consiglio direttivo solido e coeso. Il network ha una struttura di tipo orizzontale: tutti sono economicamente coinvolti in modo equo e non esiste una società capofila che trae profitto dai risultati degli altri. Inoltre, ha un brand molto forte e trova in omogeneità, interazione, comunicazione e formazione i suoi elementi chiave.

«Penso di poter dire che un network così concepito sia destinato al successo – prosegue Bianca -: le minacce possono scaturire esclusivamente da scelte strategiche sbagliate o errori di valutazione di chi, nell’ambito del network stesso, ha l’autorità decisionale. Volete un esempio?Privilegiare la quantità delle agenzie affiliate alla qualità delle stesse è un grave errore che ho visto commettere da diversi gruppi».

«Perché un network abbia successo è necessario che sia in grado di “mettere sul piatto” volumi di vendita importanti, sviluppare sinergie e scambio di competenze tra gli affiliati, nonché strategie mirate di marketing e comunicazione – conclude Adriano Biella –. Una struttura di questo tipo, però, comporta necessariamente un costo più elevato da parte delle agenzie. E la paura di dover sostenere spese troppo elevate, insieme con il timore di perdere l’autonomia imprenditoriale, è il principale motivo per cui ancora molte agenzie preferiscono non aderire a nessun network».

Attualmente, spiega Biella, un’agenzia che sceglie la strada dell’affiliazione spende mediamente da 1000 a 5000 euro come costo di ingresso, a seconda della qualità del network e dell’ampiezza dei servizi offerti. A questa cifra, di solito, si aggiungono quote fisse che possono variare dai 1000 ai 3000 euro e che vengono versate periodicamente nell’arco dell’anno come contributi di marketing e pubblicità, nonché percentuali sul venduto che si aggirano tra lo 0,30 e l’1,70% annuo.

E nel futuro, l’aggregazione tra network?

Quale sarà dunque il futuro dei network italiani? «La crisi attraversata dal settore negli ultimi anni ha provocato un rallentamento nel ritmo delle affiliazioni. La nuova frontiera, dunque, potrebbe essere l’aggregazione tra network – aggiunge Adriano Biella -. Si tratta di un fenomeno già presente in Francia e portato avanti da grandi gruppi quali Alliance. T, Selectour, G4 Voyages. È ipotizzabile, inoltre, una progressiva integrazione di tipo diagonale, con l’ingresso nell’azionariato del network di soggetti non direttamente coinvolti nella filiera turistica (società di carte di credito, compagnie assicurative e altro). Un esempio è l’accordo stipulato da Buon Viaggio Network con la società di promotori finanziari Area Banca, ora Banca Popolare Italiana».

«Non credo a una concentrazione delle reti – spiega Gentile – sia perché i progetti di integrazione verticale di Alpitour e Ventaglio hanno prodotto risultati non eclatanti, sia perché il mercato è ancora sfiduciato da flop pesanti (Cit e Sestante/Parmatour). Ci saranno alcune reti con centinaia (non migliaia) di punti vendita, presenti in tutta Italia, e molte realtà aggregative a carattere regionale, con qualche decina di agenzie. Resisteranno le agenzie indipendenti, se sapranno trasformarsi in vere “boutique del viaggio”».

«Ritengo che in futuro quattro o cinque gruppi si spartiranno il mercato del business travel e altrettanti si divideranno quello leisure – ipotizza Bianca -. A livello individuale potranno sopravvivere solo le realtà piccolissime, gestite dal titolare affiancato da non più di un dipendente e discretamente informatizzate».

Testo di Arianna De Nittis, Mission N. 1, Gennaio-febbraio 2006

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